EX ATTUALITA'



INDIMENTICABILE DESTRA






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Le poche volte che mando a compare la Padania (ma il discorso vale anche per Libero e qualche altro giornale) dico: "Mettetevi un paio di guanti, chiedete scusa al giornalaio, e poi, con gli occhi bassi per la vergogna, procedete all'acquisto. Comprate qualche altro quotidiano da sovrapporre al giornale di Bossi in modo da nasconderlo, indi venite a casa, con il frutto proibito ben celato, sì che nessuno, incontrandovi per strada, possa insultarvi come meritereste, se aveste acquistato il quotidiano non per informazione, ma per connivenza e simpatia".
A.Zarri - il Manifesto 2 sett. 2006 pag. 2





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da “La Repubblica di giovedì 20 Settembre 2001”
di Josè Saramago: Uccidere in nome di Dio



In un luogo dell’India.
Una fila di pezzi d’artiglieria in posizione. Legato alla bocca dì ciascuno di essi c’ e un uomo. In primo piano nella fotografia un ufficiale britannico erge la spada sta per dare l’ordine di fare fuoco. Non disponiamo di immagini dell’effetto degli spari, ma anche la più ottusa delle immaginazioni potrà “vedere” teste e tronchi dispersi nel campo di tiro, resti sanguinolenti, viscere, membra amputate. Gli uomini erano ribelli.

In un luogo dell’Angola.
Due soldati portoghesi sollevano per le braccia un nero che forse non è morto, un altro soldato impugna un machete e si prepara a separargli la testa dal corpo. Questa è la prima fotografia.
Nella seconda, stavolta c’è una seconda fotografia, la testa è già stata tagliata, è infilzata in un palo, e i soldati ridono. Il nero era un guerrigliero.

In un luogo di Israele.
Mentre due soldati israeliani immobilizzano un palestinese, un altro militare gli rompe a martellate le ossa della mano destra. Il palestinese aveva lanciato dei sassi.

Stati Uniti dell’America del Nord, città di New York.
Due aerei passeggeri nordamericani, sequestrati da terroristi legati all’integralismo islanìico, si lanciano contro le torri del World Trade Center e le distruggono. Allo stesso modo, un terzo aereo provoca enormi danni all’edificio del Pentagono, sede del potere bellico degli States.
I morti, sepolti tra le macerie, ridotti in briciole, volatilizzati, si contano a migliaia.

Le fotografie dell’India, dell’Angola e di Israele ci esplodono con orrore in faccia, le vittime ci vengono mostrate nell’istante stesso della tortura, dell’attesa agonica, dell’ignobile morte.

A New York, tutto è sembrato irreale al principio, un episodio ripetuto e poco diverso da tante catastrofi cinematografiche, veramente avvincente per il grado di illusione raggiunto dal creatore degli effetti speciali, ma privo di rantoli, di fiotti di sangue, di carni schiacciate, di ossa triturate, di merda.

L’orrore, nascosto come un animale immondo, ha aspettato che uscissimo dallo stupore per saltarci alla gola. L’orrore dice per la prima volta «eccomi» quando quelle persone si lanciano nel vuoto come se avessero deciso di scegliere una morte che gli appartenga.
Adesso l’orrore apparirà ad ogni istante nello spostare una pietra, un pezzo di parete, una lastra di alluminio contorta, e sarà una testa irriconoscibile, un braccio, una gamba, un addome aperto, un torace schiacciato.

Ma perfino questo è ripetitivo e monotono, è in qualche modo già noto per le immagini che ci sono giunte di quel Ruanda di un milione di morti, di quel Vietnam cotto al napalm, di quelle esecuzioni in stadi pieni di gente, di quei linciaggi e di quei pestaggi, di quei soldati iracheni sepolti vivi sotto tonnellate di sabbia, di quelle bombe atomiche che rasero al suolo e calcinarono Hiroshima e Nagasaki, di quei crematori nazisti che vomitavano cenere, di quei camion per sgomberare cadaveri come se di immondizia si trattasse.

Di qualcosa dovremo sempre morire, ma si è ormai perso il conto degli esseri umani morti nei peggiori modi che degli esseri umani potessero inventare.

Uno di questi, il più criminoso, il più assurdo, quello che più offende la semplice ragione, è quello che, dal principio dei tempi e delle civiltà, ha il mandato di uccidere in nome di Dio.

È stato già detto che le religioni, tutte, senza eccezione, non serviranno mai per avvicinare e riconciliare gli uomini, e che, al contrario , sono state e continuano a essere causa di sofferenze inenarrabili, di stragi, di mostruose violenze fisiche e spirituali che costituiscono uno dei più tenebrosi capitoli della misera storia umana.

Almeno come segno di rispetto per la vita, dovremmo avere il coraggio di proclamare in tutte le circostanze questa verità evidente e dimostrabile, ma la maggioranza dei credenti di qualsiasi religione non solo finge di ignorarla, ma si leva iraconda e intollerante contro coloro per i quali Dio non è altro che un nome, nient’altro che un nome, il nome che, per paura di morire, un giorno gli abbiamo messo e che sarebbe venuto a sbarrarci il passo per un’umanizzazione reale.

In cambio, ci hanno promesso paradisi e ci hanno minacciato con inferni, tanto falsi gli unì come gli altri, insulti sfacciati a un’intelligenza e a un senso comune che ci è costato tanto far crescere.

Dice Nietzsche che tutto sarebbe permesso se Dio non esistesse, e io rispondo che precisamente per causa e in nome di Dio si permette e si giustifica tutto, principalmente il peggio, principalmente ciò che è più orrendo e crudele.

Durante secoli l’inquisizione fu anch’essa, come oggi i Taliban, un’organizzazione terrorista che si dedicò a interpretare perversamente testi sacri che avrebbero dovuto meritare il rispetto di quelli che dicevano di crederci, un mostruoso connubio stabilito tra la Religione e lo Stato contro la libertà di coscienza e contro il più umano dei diritti: il diritto a dire di no, il diritto all’eresia, il diritto a scegliere una cosa, che solo questo significa la parola eresia.


Eppure, nonostante tutto, Dio è innocente.
Innocente come qualcosa che non esiste, che non è esistito né esisterà mai, innocente di aver creato un universo intero per collocarvi degli esseri capaci di commettere i più grandi crimini per poi venire a giustificarsi dicendo che sono celebrazioni del suo potere e della sua gloria, mentre i morti si vanno accumulando, questi delle torri gemelle di New York e tutti gli altri che, in nome di un Dio divenuto assassino per volontà e per azione degli uomini, coprono e continueranno a coprire di terrore e di sangue le pagine della Storia.

Gli dèi, secondo me, esistono solo nel cervello umano, prosperano o si consumano nello stesso universo che li ha inventati, ma il «fattore Dio», questo sì, è presente nella vita come se ne fosse effettivamente il padrone e signore.
Non è un dio, ma il “fattore Dio” quello che si esibisce nei dollari e che si mostra nei cartelli che chiedono per l’America (quella degli Stati Uniti, non l’altra.) la benedizione divina.

Ed è il “fattore Dio” in cui il dio islamico si è trasformato che ha scagliato contro le torri del World Trade Center gli aerei della rivolta contro i disprezzi e della vendetta contro le umiliazioni.

Si potrebbe dire che un dio è andato a seminare venti e che un altro dio risponde ora con tempeste.
È possibile, anzi è sicuro.

Ma non sono stati loro, poveri dei senza colpa, è stato il “fattore Dio”, quello che è terribilmente uguale in tutti gli esseri umani dovunque siano e qualunque sia la religione che professano, quello che mantiene intossicato il pensiero e aperte le porte alle intolleranze più sordide, quello che non rispetta se non ciò in cui comanda di credere, quello che dopo essersi vantato di aver fatto della bestia un uomo ha finito col fare dell’uomo una bestia.

Il lettore credente (di qualsiasi credenza) che sia riuscito a sopportare la ripugnanza che probabilmente gli avranno ispirato queste parole, non credo che passerà all’ateismo di chi le ha scritte. Lo prego soltanto di capire, per mezzo del sentimento se non può essere per mezzo della ragione, che, se c’è Dio, c’è solo un Dio, e che, nel suo rapporto con lui, la cosa meno importante è il nome che gli hanno insegnato a dargli. E che diffidi del “fattore Dio”. Non mancano allo spirito umano i nemici, ma questo è uno dei più pertinaci e corrosivi.
Come è stato dimostrato e purtroppo si continuerà a dimostrare.

Copyright El Pais
(traduzione di Luis Enrique Moriones)



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da “La Repubblica” del 1 Novembre 2001
Governatore ma ultrà – di Curzio Maltese

Un merito di Antonio Fazio è di aver umanizzato il ruolo di governatore della Banca d’Italia, una delle poche isti­tuzioni che ancora riuscivano a intimidire gli italiani.
Per anni abbiamo pensato al go­vernatore come a una specie di pontefice dei tassi, un ora­colo dell’economia, capace di guardare alle nostre misere risse politiche dall’alto di una gelida montagna di calcoli, distante come uno scienziato sul monte Palomar.
Così era almeno fino ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi.
Poi è arrivato Fazio e questa figura di arbi­tro solenne si è rovesciata in quella di un simpatico, acca­nito ultrà. Fazio è di parte in maniera sfacciata, gli piace la destra, soffriva quando il Polo era all’opposizione e oggi è fe­lice come un tifoso che ha vin­to lo scudetto. I conti? Non contano.
Non si può sempre badare alle cifre, nella vita. Contano gli stati d’animo.
Ed è sui propri stati d’animo che da anni, poeticamente, il go­vernatore di Bankitalia ci tie­ne aggiornati.

Durante gli anni dei governi ulivisti l’economia non an­dava poi così male, anzi. I conti pubblici erano stati risanati, il Pil cresceva nella media europea, la disoccupazione per la prima volta nel decennio era scesa sotto il 10%.
Ma Fazio era triste, pessimi­sta, vedeva ovunque pericoli di recessione, crisi, catastrofe.
Nel ‘96, subito dopo la nefasta vittoria del centrosinistra, av­visò che non ce l’avremmo mai fatta a rientrare nei para­metri di Maastricht. Quando l’italia agganciò l’Euro, Fazio disse che il prezzo era stato troppo alto e che c’era il ri­schio di una recessione.
Così per cinque anni.
Finchè è arri­vata l’alba gloriosa del 14 maggio e Fazio ha cominciato a vedere in rosa. Da sei mesi Fazio annuncia l’imminente “nuovo boom economico”. Certo, è sfortunato. Annuncia il boom e le aziende licenzia­no.
Riannuncia il boom e arri­vano recessione, crolli in Bor­sa, attentati, guerre.
Ma Fazio è sempre «molto ottimista» ieri non aveva finito di dirlo che l’Italia è precipitata nella paralisi dei trasporti.

Da quali calcoli Fazio rica­vi questa fiducia, non è dato sapere.
Ma in un Paese dove il falso in bilancio è appena di­ventato «contabilità creati­va» nulla può più stupire.
Go­diamo questa allegria di nau­fraghi e un governatore che il mondo ci invidia.
Pensate al mesto rigore di un Greenspan o di un Duisenberg, a parago­ne della contabilità creativa (ed emotiva) di un governato­re che «pensa positivo».
Come avere Jovanotti alla Banca d’Italia.
Vuoi mettere.



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BRIGATA ARCORE

Per comprensibili ragioni di sicurezza, l’elenco delle forze navali, aeree e terresti che il governo Berlusconi ha of­ferto agli Stati Uniti non è stato reso pubblico per intero.
Mancava, perché top secret, la punta di diamante del contin­gente berlusconiano.

Sono gli incursori del reggimento blindato «Arcore», un pu­gno di uomini decisi a tutto, con i quali Osama bin Laden do­vrà presto fare i conti.
I più temuti sono i sabotatori della com­pagnia «Previti», addestrati in Liechtenstein e armati di un micidiale gas in grado di paralizzare qualsiasi processo.
Non fanno prigionieri.

Poi ci sono i genieri della «Taormina», in grado di disorientare il nemico indossando fino a diciassette divise diverse in pochi minuti.
Si muovono con la copertura degli elicotteri d’attacco «Vito», che scatenano sul bersaglio una potenza difuoco di 15 mila parole al minuto.
Quando lo­ro hanno finito, arriva il battaglione avvocati paracadutisti «Bermude», agli ordini del generale Pecorella.
Soldati capaci di colpire e disarmare un ‘intera divisione di magistrati con il solo appoggio tattico di due rami del Parlamento.
Sono già partiti, sulla nave «Scirocco», opportunamente ribattezzata.
Non più «fregata», per evitare denunce, ma «presa in prestito».

SEBASTIANO MESSINA - la Repubblica 5 novembre 2001



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Votati alla guerra

di ROSSANA ROSSANDA – il Manifesto 8-11-01

Secondo la carta costituzionale, e il nostro modestissimo parere, non c’è ragione alcuna per entrare in guerra, salvo che il paese sia attaccato.
Cosa che non è.
E qualche agitazione dei giorni scorsi fra i Democratici di sinistra faceva supporre che nel parlamento si delineasse una minoranza di qualche spessore contro questo folle conflitto.
Non è stato così.
Non solo maggioranza e, chiamiamola così, opposizione hanno votato un dispositivo comune, ma i loro discorsi esprimevano la medesima soddisfazione: siamo riusciti a farci invitare da Bush, ci siamo imposti a cena da Blair, Chirac e Schroeder, siamo stati ammessi in serie A e questo val bene una guerra.
In tutto 35 voti contro alla Camera, 32 al Senato.
Chi, pur pensando da un pezzo assai male dell’Ulivo, si attendeva almeno un dubbio sull’efficacia di questa spedzione – se non si vada alla cieca a colpire degli innocenti e ad alimentare il fondamentalismo nazionalista, terreno di coltura dei talebani o almeno l’ombra di un caso di coscienza, perché d’una decisione tremenda si tratta — si era sbagliato.
E anche chi, giudicando abbastanza cinici quei gruppi dirigenti, pensava almeno al rapporto di scambio sulla Palestina ha sentito invece ripetere dall’Ulivo e i Ds le parole, non so se più stolte o offensive, di Berlusconi su un piano Marshall: come se si trattasse di sfamare pezzenti palestinesi e così tutto si risolvesse.

Una guerra è tragica, il livello delle nostre Camere è stato derisorio.
I nostri rappresentanti sembrano non sapere di che parlano.
Nulla sanno dell’Afghanistan, nulla suppongono sulle radici del nuovo e temibile fondamentalismo, nulla propongono su come limitare le derive del Jihad o Al Qaeda.
Nulla di bin Laden, la cui storia americana preferiscono tacere e del quale si sono lasciati sequestrare le parole più recenti come gattini ciechi.
Non hanno registrato che, la guerra non essendo cominciata oggi e i bombardamenti sempre più fitti non avendo ottenuto nulla, gli Usa e Blair sono già impantanati in quel territorio miserabile malgrado la magnitudine dei mezzi, anzi non sono in grado di usarli tutti (e l’Italia corre a metterne altri).
Sono, deputati e senatori, i soli a non sapere che lo stato maggiore di Bùsh è in allarme, è diviso, e un uomo d’arme sperimentato come Powell è silenziato.
Che Bush parla d’una guerra a tempi e confini illimitati perché non ne vede uno sbocco.
E che ogni tanto su quel confuso vociare piana il vocabolo «atomica» — magari una bella atomica tattica che sbricioli un po’ di montagne afghane — la cui utilizzazione non è annunciata ma nemmeno esclusa.
Un alleato entrerebbe nel merito, un vassallo tace e acconsente.

Chi ha veduto quei volti fra annoiati e imbarazzati, chi ha sentito Fassino e Adornato che — forse perché provenienti dalla stessa covata — dicevano le stesse cose, usavano gli stessi argomenti, duettavano, ha avuto un’impressione di irrealtà.
Non un’eco della preoccupazione che si sente sottovoce per strada.
Solo uno di Rifondazione, uno dei Verdi, uno del Pcdi ha detto qualche verità.
E hanno taciuto coloro che avevano dissentito nel gruppo ds: che cos’è una guerra davanti alla disciplina di partito, e quel partito? Il tutto in tempi minimi, passaggio obbligato e via - guerra o rogatorie fa lo stesso.





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Articolo del giorno:
SOLE CHE SORGI

L’entrata in guerra è ovviamente una scelta di politica internazionale per avere un posto al sole, che splende anche sui cimiteri.
Ma è prima ancora una scelta di politica interna pienamente conforme alla natura e alla mentalità del governo in carica.

Noi siamo abituati a considerare Berlusconi come un affarista di pochi scrupoli e basta.
Ma è un napoleonide, una personalità tronfia, che da tempo non si accontenta di un impero televisivo e finanziario e ne rifonderebbe volentieri un altro sui colli fatali.
Questa guerra d’oltremare è il battesimo militare della vittoria del 13 maggio, con tanto di prigionieri incatenati al carro di trionfo.

Pensate alla smisurata felicità di Gianfranco Fini.
Vede avverarsi i suoi sogni di ragazzo, l’Italia è tutto uno sventolio tricolore, anche la plutocrazia americana è relegata sullo sfondo, la nostra flotta solca il mare nostrum e l’onore della Folgore non è più appannato dagli incidenti di caserma.
Il ragazzo imborghesito e sdoganato quasi non crede ai propri occhi.

C’è qualche aporia, l’adunata oceanica promossa da Giuliano Ferrara vedrà forse sventolare qualche bandiera padana ma è folklore nazionale anche questo.
Il lombardo-veneto ritrova la vocazione risorgimentale.
Il nemico è comunque extracomunitario e Bossi potrà finalmente bombardarlo sul posto.

Chi disturberà più il manovratore in queste circostanze?
Chi anteporrà le piccole beghe di casa nostra agli imperativi della guerra?
I cingoli dei carri armati seppelliranno nella polvere le rogatorie, i falsi in bilancio, gli abusi edilizi, le scorribande giudiziarie, scolastiche, sanitarie.

Il partito Ds potrebbe cogliere la palla al balzo e sciogliersi già nell’imminente congresso.
Era ridotto a una larva, ora è un ascaro addetto alle salmerie e alla manutenzione degli incrociatori.
E matura una fusione non con Amato ma con De Michelis.
Rutelli era un radicale perché non c’era ancora la casa della libertà, ma ora parla come Frattini e l’ulivo si chiamerà presto cipresso.

Il governatore Ciampi canterà in primavera all’Arena di Verona l’Elmo di Scipio con le scolaresche e gli insegnanti di religione dello Stato. Ma in primavera, dopo l’inverno afghano, può essere azzardato.
Anticiperei e suggerirei comunque di intonare Sole che sorgi libero e giocondo sui sette colli i tuoi cavalli doma tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma. Perlomeno è musica di Puccini, credo.

di Luigi Pintor - il Manifesto 9-11-2001





da La Repubblica del 16 dicembre 2001 – di E. Scalfari

........(omissis)........
Ma esiste anche — e sarebbe un errore non segnalarlo — un sentimento di autentica allegria riservato però a pochi. Un’allegria che nasce dalla cupidigia finalmente appagata e in corso di appagamento:
spettacolo sconcio in una fase di diffusa penitenza che invoca la pace dei poveri e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
Anche l’allegria della cupidigia appagata è un fenomeno diffuso in tutto il mondo, non starò quindi a dire che riguarda soltanto il nostro paese anche se qui le punte della diseguaglianza sono tra le più alte delle nazioni opulente.

Gli allegri da cupidigia sono come posseduti da una loro rabbiosa vitalità, da un desiderio di farsi la legge da soli, che è poi quella del più forte, da un’ipertrofia dell’io che li induce a calpestare regole, lealtà, verità dei fatti ed anche legalità.
In realtà quest’allegria suscita in tutti gli altri ulteriori motivi di disincanto ma è tuttavia un segno dei tempi.
Come diceva il principe di Salina, questi sono i tempi delle volpi e delle faine, la stagione dei leoni e dei gattopardi è finita.
........(omissis).......





da La Repubblica del 21 dicembre 2001 – di G. Bocca

Cos’è il regime?
E’ il controllo dell’economia attraverso l’informazione da cui discendono il controllo della politica, della giustizia, dello spettacolo, dello sport, di tutto.

Nei giorni scorsi abbiamo assistito a due celebrazioni di regime:
il lancio di un libro di Bruno Vespa e
il ventennale del Maurizio Costanzo Show.

Qual’è uno dei segni rivelatori di un regime?
La mancanza di ritegno,
l’ostentazione pretoriana del privilegio, da Roma di Tigellino, da cronaca tacitiana.

I massimi dirigenti della televisione non si accorgono che è un privilegio quello accordato a Bruno Vespa di presentare un suo libro in tutti i programmi a più alto ascolto, per una somma di minuti pubblicitari valutabili in miliardi di lire di pubblico denaro?

Non se ne accorge il dottor Zaccaria che passa per un uomo della Margherita, cioè dell’opposizione?

Non si accorgono i Fassino, i Bertinotti accorsi alla presentazione di Vespa o alla celebrazione del Maurizio Costanzo Show che stanno partecipando a una celebrazione del regime che nasce?

Il regime nasce sotto la regia berlusconiana che è l’essenza della furbizia commerciale:
corteggiare per cooptare, porgere la mano all’avversario per metterlo, consenziente in ginocchio.

A Massimo D’Alema, a Fassino a Veltroni al buonismo Ds non è bastata la sconfitta elettorale e la consegna del governo a Berlusconi, continuano a dire che bisogna cercare l’accordo con i vincitori.

Il regime chiama regime, il servilismo di regime diventa regola, si allarga, celebra i suoi trionfi.

Il qualunquismo plebeo di Alberto Sordi che sembrava destinato all’oblio torna alla ribalta, viene ripresentato in televisione in coppia con Giulio Andreotti:
i campioni dell’Italia baciapile, furbastra, dei medici della mutua, dei borghesi piccoli piccoli, di quelli che avevano paura, e lo ripetono, che i cosacchi arrivassero ad abbeverarsi nelle santiere di San Pietro.
Presentati come modelli di saggezza civica.
E citano anche la signora Ciampi che per Sordi stravede.

Non lo sanno i Fassino, i Bertinotti, i D’Alema e altri personaggi della sinistra fantasma che Vespa è uno che ha tirato la campagna elettorale del centrodestra, che ha organizzato la mattanza di Di Pietro convocando tutti i ladroni di Tangentopoli?

Non lo sanno che il salotto di Costanzo è il salotto del regime?

Lo sanno benissimo ed è proprio perché lo sanno che ci accorrono.
Ci chiediamo spesso il perché per un vizio illuministico, quando lo sappiamo benissimo questo perché.
Perché i domatori della televisione, i signori dei talk show sono i rappresentanti e in parte i gestori del nuovo potere.

Berlusconi si è vantato, alla celebrazione di Costanzo, di esserne il suo ideologo, di averlo quasi inventato lui il Costanzo Show, la fabbrica del consenso, della demagogia spettacolo, del volemose bene condito con qualche barzelletta.

La forza di Berlusconi è la sua autenticità, lui ai convegni dei potenti del mondo prende per Bush o Chirac e gli racconta una barzelletta.
E’ cosl che ha messo assieme un impero dell’informazione ed è arrivato al potere, come dirgli che ha sbagliato?

Ma sono i suoi avversari, è questa sinistra di ricotta che lo imita, lo blandisce e curva la schiena a nuove bastonate.

La storia italiana è piena di questi perché, quella della sinistra in particolare.
Perchè ogni giorno cala le brache?
Perché ogni giorno cade nelle trappole dell’avversario?
Perché sta al gioco sin troppo evidente del regime che monta?
Perché il regime è la nostra normalità, perché nei secoli ci siamo abituati a riverire il potere dìsprezzandolo, perché l’essere opposizione, l’essere minoranza lo viviamo come una vergogna, come un insulto alla nostra furbizia, arte dei servi.

Guardare oggi la società italiana è come star sulla riva di un fiume quando arriva l’alluvìone:
gli argini resistono per qualche ora poi cade un albero, si stacca una pietra, rovina giù un blocco di terra, ti rendi conto che tutto è pronto per dissolversi, per sparire nella fiumana.

L’irresistibilità del regime!
Anche perché questo è un paese clericale educato alle unanimità clericali, pronto a sentire puzza di eresia di fronte a ogni minoranza, pronto ai «blocchi», quello liberale dei tempi giolittiani e poi il fascista del ventennio, e poi gli immobili schieramenti contrapposti della guerra fredda e ora la marea azzurra.

Convinti che fuori dal regime non c’è salvezza, non c’è lavoro, non c’è modo di mantenere la famiglia, di aspirare a una carriera, a una elezione, a una direzione.

Chi non è per il regime si accorge che il regime monta, e che lui sta diventando agli occhi dei concittadini un «uomo nero», uno che è meglio non frequentare, non citare.
E neppure la sinistra resiste a questa emarginazione progressiva, si convince che andare a Porta a Porta o a una delle altre fabbriche del regime sia un modo per resistergli mentre è il modo di farsi assorbire, digerire, corrompere.

L’immagine non è tutto nella modernità?
Chi non si fa vedere non è come morto?
Chi non ha audience non è un fantasma destinato all’oblio?
Può darsi, ma quando si perde si salvi almeno la dignità.



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da La Repubblica di sabato 5 gennaio 2002

IL DIALOGO IMPOSSIBILE – di Giorgio Bocca -

Il presidente Ciampi esorta al dialogo con la maggioranza ma è molto difficile dialogare con l’estraneo e l’imprevedibile.
Chi ha scelto il mestiere dell’informazione può avere variamente subìto i condizionamenti dell’economia e della politica ma sostanzialmente uno che cerca di capire il mondo, che ha il linguaggio delle buone letture e delle buone scuole, che conosce la storia del suo Paese.

Ebbene di fronte a questa maggioranza contraddittoria e improvvisata egli ha l’impressione devastante che sia scomparso Il senso comune delle parole, che sia concesso di parlare a vanvera ma con arrogante sicumera e opportunismo, che la democrazia si sia ridotta al dominio automatico dei numeri parlamentari anche a danno di se stessa, che ai più numerosi sia concesso di far bottino.

Chi fa il mestiere dell’informatore in particolare, ma il cittadino di buon senso in generale, resta stupito e umiliato dall’uso continuo e pesante della propaganda.
Che senso ha presentare la prima Repubblica come una dittatura rossa che imponeva la sua faziosità ed egemonia culturale quando il potere era nelle mani della Democrazia Cristiana, suoi la televisione e il 90 per cento della stampa?

Che senso ha resuscitare ogni giorno lo spauracchio di un comunismo non solo morto e sepolto ma quasi incapace di conservare le sue memorie?
A noi questa assimilazione della politica alla propaganda con i metodi più beceri della pubblicità, questo metodo pubblicitario di ripetere delle menzogne o delle esagerazioni all’infinito fino ad imbottire i cervelli, fino a creare delle paure, delle illusioni di massa, danno un senso amaro di impotenza, l’impotenza della ragione e la prevalenza della demagogia.

E’ molto difficile, quasi impossibile, dialogare con una maggioranza che esprime un governo di prepotenti e di furbi.
Ecco è la furbizia bottegaia e imbrogliona di questo governo che ci fa spavento.
Vuole che la giustizia sia sottomessa all’esecutivo?
E’ una pretesa ostica per le libertà e i diritti dell’uomo, ma c’è chi la accetta per la stabiità dei governi.
Non è un caso se paesi come la Francia, come la Germania hanno evitato tangentopoli:
il potere politico intimidisce ancora, in quei Paesi, quello giudiziario.

Ma non è accettabile che, questa prevalenza dell’esecutivo, sia perseguita con delle furbizie da ladri di polli, che un processo venga impedito con il trasferimento di un giudice, con la ricerca avvocatizia della scadenza dei termini, con il gioco delle competenze, con i trucchi che i grandi avvocati miliardari e cooptati al governo spacciano per garanzie.

E’ molto difficile, quasi impossibile, dialogare con un potere che ha come unico punto di riferimento l’accrescimento continuo di se stesso per tutti i fini salvo quello del bene comune, fini personali, di gruppo, sempre nascosti, sempre dissimulati.

Come dialogare con una politica estera che in modo subdolo si scopre antieuropea, salvo la furbata di lanciare il sasso ma di ritirare la mano?
Possiamo tentar di capire, anche se, per capire bisogna entrare nella mediocrità dei furbi.
L’Europa non piace a questo governo e al suo padrone perché ha un potere non gradito di controllo?
Perché può imporre una giustizia comune?
Perché si riserva un diritto di critica per le nostre cafonaggini, da cui l’immancabile ricorso al complotto antitaliano, una versione penosa del mito della vittoria tradita?

Dialogare, certo, ma anche con chi, a fini personali, torna ai giri dì valzer dell’Italietta?

Siamo stati fra i fondatori dell’Europa ma appena se ne dà l’occasione passiamo all’alleanza granitica” con gli Stati Uniti, decidiamo un intervento militare che è fuori delle nostre possibilità con contributi assurdi o in pratica inesistenti come gli otto Tornado che opereranno a guerra finita quando sarà pronta, forse in aprile, la loro base nell’Uzbekistan.

In compenso abbiamo mandato Sgarbi a Kabùl per una collaborazione televisiva e per un invito degli afgani alla Biennale, invito, largamente lodato dalla nostra informazione, come rilevante in un Paese dove tutto è distrutto e dove si muore di fame.
Dialogare è doveroso.

Ma anche con coloro che vivono di false promesse?
Anche con un ministro del Tesoro che si presenta in televisione con dei pacchi di documenti, di tabelline, di riassunti con cui dimostra che:

primo, tutto ciò che hanno fatto i suoi predecessori era un cumulo di sciocchezze, di ritardi mentali, di ridicolo provincialismo;
secondo, che può fare tutte le promesse più assurde senza poterle mantenere, ma guai a non considerarlo un salvatore della patria.

Difficile dialogare con un governo che dà per fatte le cose non fattibili o rischiose, come la riduzione delle tasse e le varie riforme, tipo devolution o rinnovamento della scuola che attentano all’unità del Paese e alla pubblica istruzione.

Ma il dialogo diventa impossibile quando scendono in campo i terroristi della maggioranza, i colonnelli del Msi riciclati in Alleanza nazionale e gli “abominevoli uomini delle nevi” leghisti a cominciare dal loro capo tribù, senatore Bossi che quando attacca uno dei suoi monologhi demenziali non lo ferma nessuno, con quel borbottio sul misterioso popolo, rimestato come una minestra di fagioli, ora dal basso ora dall’alto, il popolo delle valli Trompia e Brembana che l’Europa e l’euro non sa neanche cosa sia.



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da La Repubblica di lunedì 4 febbraio 2002

L’Italia e i fantasmi del passato - di Giorgio Bocca

“Mio figlio ed io con la presente diamo formale assicurazione circa la nostra fedeltà alla Costituzione repubblicana e al nostro presidente della Repubblica”.

I Savoia padre e figlio, accluso il principe Sergio di Jugoslavia, figlio di Maria Pia, nipote di Umberto II e Maria José, sono pronti a rientrare nella Repubblica Italiana senza condizioni, la destra è compatta per il sì.

Il capogruppo di Alleanzana nazionale al Senato Domenico Nania ha dichiarato che i Savoia «confermano la loro buona fede e la loro lealtà e spera che i Democratici dl sinistra aggiungano il loro voto alla maggioranza di centro destra».

Si associa Renato Schifani, il più noto degli yesmen berlusconiani, presidente del senatori di Forza Italia per ricordare come una trombetta d’ordinanza «Bene hanno fatto i Savoia a compiere questo gesto apprezzabile che fa chiarezza definitiva su un argomento dinanzi al quale noi della maggioranza non avremo avuto alcun dubbio».

E lo credo:
avete sdoganato anche quelli di Salò, anche i fucilatori di partigiani, non volete riprendervi un principe con la erre moscia?
«Il centrodestra — aggiunge Schifani - farà la propria parte per rispettare gli impegni assunti speriamo che anche l’opposizione faccia la sua».

Come no?
Agli ordini anche perchè meglio i Savoia che Schifani, meglio una famiglia di rentiers che non conoscono neppure la storia di famiglia che questa destra sovversiva che sta contestando e svuotando nei fatti la Costituzione repubblicana.

Che sarà mai un Vittorio Emanuele o un Filiberto di ritorno dalla Svizzera e dalla loro villetta sul lago di Ginevra dove il cosiddetto re non riconosceva neppure gli antenati appesi alle pareti?

La sinistra farebbe l’ultimo degli errori se accettasse questa sfida ridicola sul rientro di una famiglia che la storia ha già cancellato.
I Savoia come un pericolo per la Repubblica democratica?
Ma non scherziamo.
Qui ed ora siamo alle prese con una maggioranza che non accetta la legge eguale per tutti, che vuole umiliare la magistratura, mettere alle corde il sindacato, impadronirsi dell’informazione, impone lo spoils system mettendo uomini suoi anche se scamorze in tutti i posti di comando e la sinistra dovrebbe battersi per impedire il ritorno in Italia di un play-boy, amico di Idris tifoso della Juventus e di suo padre incauto maneggiatore di fucili all’isola di Cavallo?

L’onorevole Brutti della sinistra, maestro di moderazione inutile, ha flebilmente ricordato che «ci troviamo di fronte a una scelta non banale e di ordinaria amministrazione ma che richiede una profonda presa di coscienza da parte di tutti».

Ma che dice onorevole?
Qui siamo in una Repubblica in cui l’attuale capo del governo sta preparando la sua elezione popolare a presidente della Repubblica per i prossimi dieci o quindici anni e che importanza “non banale” vuole che abbia una prevedibile tournée monarchica di vecchi tromboni e di giovani mondani?

Gli unici che ne trarranno giovamento e occupazione, stia sicuro, saranno quelli dello spettacolo televisivo i signori dei talk show se li immagina Porta a Porta con il principe biondo con l’accento dell’impiegato in una banca ginevrina?

No, non facciamone un caso e meno che mai un dramma.
Il ritorno dei Savoia in Italia al confronto del soggiorno di Previti e del suo avvocato Ghedini è faccenda minima, da rotocalchi, da Verissimo o altre delle rubriche di gossip che furoreggiano nella nostra informazione.





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da La Repubblica di venerdì 2 agosto 2002

Ritorna lo Stato dei privilegi - di Giorgio Bocca

E’ in corso l’attacco alla Costituzione.
Prima al Quirinale, con l’autocandidatura di Berlusconi a una presidenza presidenzialista;
poi al codice penale con la richiesta di immunità per i parlamentari, ora con la legge del legittimo sospetto.

Abbiamo impiegato i tormentati decenni dell’Italia unita per riformare prima e superare poi i privilegi aristocratici;
abbiamo seppellito con il fascismo le leggi speciali della dittatura e poi nella Prima Repubblica i privilegi del censo arrivando con Tangentopoli a una giustizia eguale per tutti, anche se di breve durata.

E oggi, con la modernizzazione berlusconiana, con il riformismo opportunistico della Casa delle libertà, torniamo di colpo indietro allo Statuto, alle restaurazioni sabaude e — se si sta alla indifferenza e alla diffamazione della legge a Licurgo, a Mosè, a Hammurabi, a una anarchia del mercato precedente i comuni e le loro corporazioni.

Stiamo uccidendo la legge, che è l’unica difesa dagli egoismi e dalle follie dello sviluppo senza freno, senza controllo.
In prospettiva, l’unico rimedio è quello della svolta autoritaria:
la prospettiva del Mussolini sovvertitore dello Stato che ne diventa il difensore.

Pochi sembrano rendersi conto che l’attacco alla magistratura, che parte da interessi personali o di gruppo, non può che allargarsi all’intera società e modificarla profondamente.
Si parte dagli interessi personali e di gruppo del leader politico, la difesa delle sue televisioni, dei suoi giornali, della sua finanza e del modo in cui le ha costruite e poi si arriva alla resa dei conti con i complici o con i clienti, bisogna pagare il consenso dei molti che sono saltati sulla carrozza del Polo.

Pagarlo non solo politicamente, con la vicepresidenza del Consiglio all’onorevole Fini, non solo con canali televisivi, ministeri e devoluzioni alla Lega, ma anche con affari illeciti e denaro corrente agli affaristi che stanno salvando l’Italia dal comunismo ma divorando l’ambiente con le speculazioni, gli abusivismi, l’appropriazione dei beni pubblici e con la giustificazione del tipo craxiano “così fan tutti”, così hanno fatto anche i governi che ci hanno preceduto con cui si può risalire fino adAdamo ed Eva.

E allora bisogna coprire, nascondere le complicità con la malavita organizzata, per esempio le grandi manovre già in corso in Sicilia per spartire i finanziamenti europei o quelli per le grandi opere, far finta di non sapere che è già in corso da parte della mafia e degli amici degli amici l’acquisto dei terreni su cui verranno eretti i piloni del superponte sullo Stretto di Messina, o la concessione di appalti fuori di ogni controllo alle aziende amiche.

Ma anche le malversazioni e gli scandali minori come quello dell’Inail o della cocaina al ministero delle Finanze di cui la stampa di regime non si occupa tutta impegnata a frugare nei finanziamenti dei sindacati.

Ma siccome questa impunità di fatto, questa anarchia di fatto non può durare se non a rischio di affossare l’intera economia, che si potrà fare?
Non ricorrere come negli Stati Uniti alla macchina repressiva e preventiva della giustizia ma non della nostra di cui ogni giorno si denunciano la faziosità e l’impotenza, e neppur si potrà contare su una rinascita morale ogni giorno smentita, schiacciata, ridicolizzata dai grandi cinici di corte.

Non resterà che ricorrere alla disciplina poliziesca, cioè all’inevitabile autoritarismo poliziesco.

La stampa moderata ma anche quella legata agli interessi è ancora viva, che non ci sono lager e confino per gli oppositori, e non vede, non vuole vedere che si stanno preparando i presupposti dell’autoritarismo, che i rimedi, all’anarchia truffaldina alla fine saranno quelli del fascismo e non altri, li si chiami poi come si vuole.

Ci sarà anche il rimedio di tutte le dittature:
il silenzio, l’omertà sulle cose che non vanno.
In questo il capo del governo è un maestro.

C’è in Sicilia una grave siccità?
In parte essa dipende dalla convivenza fra economia legale ed economia criminale?
Questa convivenza ha consegnato alla maggioranza un successo elettorale bulgaro, sessantun collegi su sessantuno?
Non resta che ignorano, il capo del governo si guarda bene dall’accorrere nella regione che lo ha plebiscitato, preferisce l’inaugurazione dei lavori di un viadotto sul Po dove l’acqua non manca e neppure le occasioni populistiche televisive del “presidente operaio” con l’elmetto di plastica e il sorriso di quelli “di passaggio”.

Un altro modo di totale impudenza per camuffare la voglia di impunità e di presentare le varie leggi salvaladri come riforme garantiste:
ma di che vi lamentate voi giustizialisti, domani la legge del legittimo sospetto potrebbe servire anche a voi, come a dire prima diamo una mano al ladri al disotto di ogni sospetto e poi servirà anche agli onesti che passeranno dalla parte dei ladri.

La stampa moderata e anche quella attesista criticano la faziosità degli oppositori che definiscono apocalittfci.
Ma venga una dittatura o si resti così a lenta cottura una cosa è certa:
per riparare i danni di civiltà fatti da questa restaurazione affaristica e irresponsabile occorreranno tempi lunghi e fatiche immani.

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da La Repubblica di lunedì 5 agosto 2002

PERCHE L'ULIVO DICE CHE PERA HA SBAGLIATO – di Stefano Passigli -

Caro direttore, vi sono state o no gravi violazioni regolamentari durante la discussione al Senato della legge sul “legittimo sospetto?
I diritti dell’opposizione sono stati conculcati, o è l’opposizione ad avere ingiustamente accusato Pera?
Nella sua dichiarazione di voto finale il senatore Schifani, per una volta precedendo il presidente del Consiglio anziché pedissequamente echeggiarlo, ha sfidato l’opposizione a indicare le irregolarità commesse.

Ebbene, madamina Schifani il catalogo è questo.

L’articolo 72 della Costituzione prevede che prima di giungere all’esame delle assemblee parlamentari un disegno di legge sia assegnato a una commissione e qui esaminato secondo i tempi e modi previsti dal regolamento di ciascuna Camera.

L’articolo 44 del regolamento del Senato prevede che se una commissione non ha terminato l’esame di un disegno di legge, trascorsi due mesi il presidente della commissione o 8 senatori ne possano chiederé il passaggio all’assemblea.

L’articolo 77 del regolamento prevede infine che i due mesi possano essere ridotti a uno se l’assemblea delibera l’urgenza.
Nel caso del disegno di legge sul legittimo sospetto l’assemblea non ne aveva deliberato l’urgenza.
Ne consegue che esso, presentato il 9 di luglio, non avrebbe potuto essere esaminato dall’aula del Senato prima del 9 settembre.

Non era in altre parole nella disponibilità della conferenza dei capigruppo decidere tempi e modi di discussione diversi da quelli regolamentari, e non era nella disponibilità del presidente Pera sottoporre la questione alla conferenza, ove si decide a maggioranza, anziché applicare il regolamento a tutela delle minoranze.

A sua giustificazione Pera ha citato alcuni precedenti di deroga ai tempi regolamentari:

la legge sull’elezione diretta dei sindaci del ‘93,
la costituzione della Bicamerale nel ‘96,
la riforma del titolo V della Costituzione nel 2001.

Ma si tratta di casi in cui vi era pieno accordo tra maggioranza e opposizione sulla deroga, o - come nel caso della riforma federale - la doppia lettura e il referendum popolare confermativo avrebbero comunque garantito all’opposizione un riesame del provvedimento.

In ogni caso, non è certo legittimo fondare una violazione del regolamento su eventuali isolate precedenti violazioni da chiunque commesse.

S’aggiunga che gli emendamenti, ivi compreso l’emendamento interamente sostitutivo della legge presentato dal senatore Carrara (un laureato in chimica senza alcuna esperienza giuridica che lo ha certo presentato per conto di terzi), non sono stati distribuiti nei tempi regolamentari negando così all’opposizioneil diritto di subemendarli.

Ve n’è a sufficienza per concludere che il comportamento della presidenza si è tradotto in un grave attentato ai diritti dell’opposizione, che rafforza quella tendenza alla “tirannide della maggioranza” che chi presiede un ramo del Parlamento e — come Pera — si professa liberale dovrebbe temere di più ogni altra cosa.



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Camera dei Deputati, giovedì 10 ottobre 2002 (legge Cirami)

Ecco l'intervento che numerosi deputati hanno letto, uno dopo l'altro e con le medesime parole, per sottolineare il "NO" dell'Ulivo.

Deputati della maggioranza, avete promesso agli italiani il paese del bengodi, avete promesso più libertà, e gli state dando la Cirami.
Può un Parlamento libero approvare una legge così vergognosa solo per proteggere Cesare Previti?
Può un Parlamento libero scrivere un capitolo senza precedenti nella storia repubblicana solo per proteggere Cesare Previti?
Può un Parlamento libero autorizzare un'ingiustizia così grave solo per proteggere Cesare Previti?
Può un Parlamento libero fare carta straccia dei principi della nostra Costituzione solo per proteggere Cesare Previti?
A questo nostro paese che attraversa un momento così difficile, che ha bisogno di riforme coraggiose, voi dite che la cosa più importante oggi è proteggere Cesare Previti
Voi state dicendo agli italiani che la giustizia non è uguale per tutti, solo per proteggere Cesare Previti
Può un Parlamento libero consegnare ai nostri figli una pagina così buia?
Fermatevi, fermiamoci.



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Last updated 31.1.2007