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ECOLOGIA - pag. 2 -


da dispensa a cura dott.sa A. Bonettini


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Appunti di: Anna Bonettini Parco dell’Adamello (28-09-01)

GLI ADATTAMENTI

Si distinguono sostanzialmente tre tipi di adattamenti: morfologico, fisiologico, comportamentali.

Gli adattamenti morfologici riguardano la forma e la struttura degli organismi.
La forma e la robustezza del becco del picchio, adatto per forare la corteccia degli alberi, sono un valido esempio di adattamento morfologico.

Gli adattamenti fisiologici riguardano il metabolismo. Un esempio di questo tipo di adattamento è la presenza nel sangue dei pesci che vivono nei mari polari di particolari proteine “antigelo” che abbassano la temperatura di congelamento.

Gli adattamenti comportamentali sono particolari comportamenti degli organismi in risposta a determinati stimoli ambientali. La fedeltà all’uomo del cane è un adattamento dettato dalla necessità di procurarsi cibo e rifugio.

L’adattamento è molto spesso un compromesso tra esigenze diverse e l’evoluzione può essere paragonata a un bricoleaur che debba continuamente fare compromessi per trovare la soluzione migliore in una determinata situazione.

L’adattamento è inoltre un concetto relativo: una lepre che corre più veloce lascerà più discendenti solamente se il problema principale da risolvere è quello di sfuggire ai predatori. Se il problema è invece di dover resistere a una malattia, la lepre più adattata sarà quella che presenta la resistenza contro quella specifica malattia.
Tuttavia è bene ricordare che alcuni cambiamenti evolutivi sono del tutto casuali e che non è corretto cercare una spiegazione adattativa per tutti i fenomeni biologici.

Gli adattamenti possono essere attuati durante lo sviluppo o essese geneticamente determinati ed immodificabili (adattamenti genotipici oppure possono evolvere durante la vita dell’individuo (adattamenti fenotipici o acclimatazione) . L’acclimatazione può essere realizzata in un periodo limitato della vita e può recedere se lo stress fisiologico è rimosso.

MODELLI DI EVOLUZIONE

Si distinguono tre modelli di evoluzione:
evoluzione convergente, evoluzione divergente ed evoluzione parallela.

Per evoluzione convergente si intende il fenomeno dello sviluppo, in organismi che vivono in condizioni ambientali simili ma senza alcuna parentela evolutiva, di strutture simili dal punto di vista funzionale.
L’evoluzione convergente produce strutture analoghe, ovvero strutture che hanno funzione simile, ma diversa origine evolutiva.
Il topolino delle piramidi che vive in Egitto e quello dei deserti del Nuovo Messico hanno entrambi le zampe modellate allo steso modo, adatte a saltare sulla sabbia che è la caratteristica comune degli ambienti in cui questi animali vivono.
Sia i cactus che le euforbie, piante diverse che vivono in ambienti aridi, possiedono spine carnose e tessuti in grado di accumulare acqua.
Molti mammiferi che si sono adattati alla vita marina, come i cetacei e i delfini, hanno assunto le caratteristiche dei pesci.

L’evoluzione divevergente consiste nello sviluppo di caratteristiche diverse in due (o più) ppopolazioni che condividono un antenato comune. L’evoluzione divergente può portare alla formazione di varietà diverse della stessa specie, adattate alle specifiche condizioni ambientali in cui vivono, oppure se agisce sufficientemente a lungo alla nascita di specie nuove.
Pur essendo entrambi mammiferi appartenenti all’ordne dei carnivori, le foche e i gatti hanno un aspetto radicalmente diverso perchè vivono in ambienti differenti e si sono quindi adattati a diverse pressioni selettive nel corso della loro evoluzione.

L’evoluzione parallela è il processo per cui specie imparentate evolvono in modo simile per lunghi periodi di tempo, perchè sottoposte alle stesse pressioni selettive.





stambecchi in Val Salarno 9 ottobre 2001


Bos (Val Salarno 20 novembre 2001)


stambecchi in Val Salarno 9 ottobre 2001


malga Lavedole


malga Lavedole




cornetto di Salarno


larici nani


larici nani


rifugio Prudenzini


Salarno


lago Dosazzo


pino cembro


passo Gozzi

LE PIANTE D’ALTA QUOTA

Principalmente queste variazioni modificano i seguenti parametri climatici.

TEMPERATURE: queste diminuiscono con il crescere della quota; è stimato che la temperatura in medie annue si abbassino di circa ½ grado (0,55°C) ogni 100 m di altitudine.
Anche le escursioni termiche cioè le variazioni tra il giorno e la notte, sono più limitate in pianura rispetto alla montagna.

PRECIPITAZIONI: esse vanno aumentando con l’altezza, fino ad un dato livello (2000 – 2500 m), oltre il quale diminuiscono.

UMIDITA ASSOLUTA ATMOSFERICA: diminuisce molto rapidamente con l’aumentare dell’altitudine; a 3000 m essa è circa a 1/3 di quella che si misura a livello del mare.

REGIME DEI VENTI:la montagna provoca la formazione di venti giornalieri o stagionali maggiori rispetto alla pianura.

CONFORMAZIONE TOPOGRAFICA: i crinali, i versanti e le valli modificano sensibilmente le esposizioni; la piovosità e il vento provocando variazioni locali nel clima.

In queste condizlonì le piante devono lottare contro il vento, il gelo, la copertura di neve e la siccità.
Per questo motivo esse presentano adattamenti specifici atti a difenderle dalle condizioni estreme dell’alta montagna.

Il vento e il carico della neve impediscono la crescita e l’attecchimento delle specie arboree e quindi gli arbusti si presentano nella norma a “cuscinetto“ come nel caso del ginepro prostrato (Juniperus nana), che forma larghe macchie sempreverdi lungo i pendii sassosi.
Il gelo e la neve condizionano a tal punto l’attivita vegetativa che Le fioriture vengono regolate esclusivamente dal periodo di scomparsa della neve. La siccità che, ricordiamo non è propria solo dei climi caldi (l’acqua in alta montagna si disperde facilmente o è presente in forma di neve o di ghiaccio e quindi non è assirnilabile dagli apparati radicali) determina adattamenti tendenti a conservare l’acqua (piante grasse) o a limitarne l’evaporazione attraverso la presenza di una fitta lanugine che conferisce al fusto e alle foglie una colorazione grigio-tomentosa.
Molte piante si adattano all’evoluzione dinamica dei ghiaioni con apparati radicali capaci di rispondere in modo “elastico” ai piccoli e continui movimenti del pietrame.

Il nanismo difende meglio dal vento e dagli altri agenti atmosferici, dalla traspirazione e dal peso della neve e permette l’insediamento e la crescita anche in piccoli spazi.
In questo modo anche alcuni piccoli arbusti con aspetto tappezzante, dotati di rami legnosi e striscianti sulle rocce o sul terreno o addirittura sotterranei come è il caso del salice erbaceo (Salix herbacea) , possono svilupparsi anche a quote rilevanti.
Il rimpicciolamento può interessare anche solo alcune parti della pianta: spesso le foglie sono minuscole e coriacee, ridotte a scagliette o sottili aghi, una forma studiata apposta, peraltro, per limitare ancora di più perdita di acqua per traspirazione.
Anche la lanugine vellutata che riveste molte piante alpine, più che una valida difesa dal freddo, è in realtà ancora una volta una difesa soprattutto dalla traspirazione:
l’obiettivo infatti è quello di creare un sottile strato isolante che rende meno brusca la differenza di umidità tra l’atmosfera e l’interno della pianta, così da rallentare l’evaporazione dai tessuti interni.

E dato che anche l’eccessivo surriscaldamento contribuisce alla traspirazione, si può operare anche nel modo opposto: niente più lanugine, ma foglie ispessite e con una superficie lucida che, come un piccolo specchio, riflette le radiazioni solari più itense e, quindi più nocive.

L’effetto “specchio” è attuato peraltro anche dall’insieme degli stessi peli che sono costituiti da cellule morte e traslucide, e quindi rifrangenti.
Quante piante alpine, infatti, spiccano per il loro colore bianco-argenteo, dato da una lanugine fine e compatta. Ed ancora, la succulenza di alcune specie alpine, specialmente quelle che vivono prevalentemente sulle rupi, risponde sempre ad una necessità di risparmio idrico, né più né meno come le piante dei deserti.

La cosa è evidente nei Sedum e nei Sempervivum che hanno proprio l’aspetto di piccole piante grasse, ma anche alcune primule e sassifraghe possiedono foglie succulente.

Altro problema riguarda la riproduzione: a chi affidare il polline con la sicurezza che almeno una parte arrivi a destinazione? Il vento è discontinuo, impreciso ed inaffidabile e così, sebbene a queste quote comincino a scarseggiare, gli insetti rimangono come norma gli interlocutori principali. Ma proprio perchè gli impollinatori non abbondano è indispensabile per le piante produrre fiori che siano facilmente percepibili dalla vista non certo perfetta degli insetti ed ecco spiegata la particolare vistosità nelle forme e nei colori delle corolle fiorali di molte piante alpine, quelle che in genere più ci entusiasmano.

Una tattica è quella è quella di creare fiori di dimensioni abnormi rispetto alla taglia globale della pianta (pensate ad alcune genziane, primule o campanule) oppure di produrre fiori minuti, ma riuniti a decine ed addensati in infiorescenze di vario tipo o in piante con aspetto a tappeto, cosicchè gli insetti non vengono attratti dal cromatismo dei singoli fiori, ma dalla macchia di colore offerta dall’insieme di tutti.

E se l’impollinazione non va a buon fine molte piante alpine ripiegano su mezzi di propagazione alternativi: ad esempio l’allungamento di fusti striscianti-detti stoloni – che producono nuovi cespi a brevi distanze dalla pianta madre (ne è un bell’esempio il dorato Geum reptans che cresce sovente siui e sulle morene a poca distanza dai ghiacciai) oppure la produzione di gemme o di bulbilli , da ognuna delle quali si sviluppa un nuovo individuo (come in Polygonun, viviparum e in Poa alpina, due comunissiml abitanti di pascoli e praterie alpine), I semi delle piante alpine sono generalmente piccoli e leggeri o dotati di strutture che ne facilitano la dispersione ad opera del vento: sono così strutturati. ad esempio, i frutticini piumosi degli anemoni alpini (Pulsatilla alpina e Pulsatilla vernalis), dei salici nani e di altre piante.

La maggior parte delle piante alpine è perenne; possiede cioè un apparato radicale che rimane vitale per più anni, ben protetto d’inverno dal manto nevoso. Foglie e fusti foriferi invece vengono di norma ricambiati ogni anno e i loro residui secchi servono spesso a proteggere le gemme, situate a livello del terreno, che in primavera devono prontamente rigermogliare, e, per guadagnare tempo, magari quando la neve non a ancora completamente fusa, come usano fare abitualmente le graziose soldanelle.

Qualcuna è anche dotata di organi sotterranei carnosi (bulbi, tuberi) come è il caso del comunissimo croco (Crocus albiflorus), un’altra pianta tra le prime a fiorire dopo il disgelo. Pochissime e di piccola taglia sono invece le piante a ciclo annuale: troppo breve è infatti l’estate alpina per garantire un periodo di tempo sufficiente allo svolgimento di un ciclo completo, a partire dalla germinazione del semi alla piena fruttificazione e disseminazione.

A questi adattamenti se ne aggiungono altri di natura fisiologica, non meno fondamentali anche se non visibili in modo macroscopico. Basti citare il caso del ranuncolo dei ghiacciai (Ranunculus glacialis) che nel suoi tessuti, accumula zuccheri solubili come riserve - anzìchè amido come vuole la norma -, creando così una concentrazione tale nei suoi succhi cellulari da abbassarne notevolmente il punto di congelamento.

Adattamenti particolari possiedono, infine, piante di ambienti altrettanto particolari.
Le specie che vivono nelle pietraie e nelle colate detritiche, ad esempio, devono sopportare oltre alla carenza di acqua e nutrienti, il rotolamento continuo delle pietre che le possono spezzare o trascìnare in basso. soprattutto in conseguenza di smottamenti o ruscellamenti superficiali di acque.

Alcune di queste specie (dette migratrici ) non offrono resistenze di sorta, limitandosi a ricoprire il detrito più fine con aspetto tappezzante e con brevi radici che vanno poco in profondità ma i loro fusticini sottili e delicati sono dotati di forte capacità rigenerativa e pertanto, quando vengono frammentati e trascinati a valie, sono in grado di originare nuovi cespi.

Altre specie (dette “stabilizzatrici”), sono viceversa fornite dì apparati radicali più forti ed organizzati, capaci spesso di approfondirsi notevolmente, ed in grado così non solo di ricercare acqua e nutrienti a maggiore profondità, ma anche di operare un primo serio tentativo di ­stabilizzare il pendio detritico in movimento gravitativo.

Il bel papavero giallo (Papaver rhaeticum), presente sui ghiaioni calcarei, appartiene a questa seconda categoria.

Simile per certi versi i problemi che devono affrontare le specie che vivono nelle fessure delle rupi che devono far fronte principalmente alla carenza di spazio, di terreno e di acqua. In questo habitat hanno dunque avuto un buon successo le cosidette piante a “pulvino” che hanno un classico portamento a denso cuscinetto, costituito da un apparato radicale normalmente allungato ed ingrossato, capace di farsi largo nelle spaccature, e da numerosissimi fusticini raccorciati e pluriramificati a raggiera che si addensano tra loro creando una trama fittissima e composta nella quale l’acqua e l’umidità possono venire conservate a lungo.

Ogni anno all’apice dei fusticini sono prodotti foglie e fiori nuovi mentre i residui di quelli vecchi rimangono “intrappolati” nel cuscini stesso venendo col tempo decomposti.

Insomma il cuscino cresce lentamente, ma su un substrato nutritivo che, almeno in parte si produce da solo.

Hanno questo singolare aspetto diverse piante tra cui alcune androsace (Androsace vandelli, Androsace helvetica), il cosidetto “muschio fiorito” (Silene acaulis), il non-ti-scordar-di-me nano (Eritricumnanum) e alcune sassifraghe (Saxifraga vandelli, Saxifraga bryoides).

Questi ed altri adattamenti permettono alle piante di raggiungere quote impensabili, che si immaginerebbero incompatibili con la vita vegetale. Nella catena alpina il record altitudinale di crescita di una pianta a fiori spetta al già citato Ranunculus glacialis, trovato a quasi 4300 m nelle Alpi svizzere, ma un’altra dozzina dl specie possono raggiungere o superare i 4000 metri e una cinquantina i 3500 metri.

Muschi, licheni ed alghe hanno la capacità di vivere a quote ben superiori a quelle raggiunte dalle piante con fiori. Destano sensazione in particolare le incredibili alghe “delle nevi” organismi unicellulari che si ammassano in colonie nelle nevi perenni, creando strane macchie verdastre o rosso-brunastre, e coosì adattate al loro habitat da vegetare in modo ottimale solo ad alcuni gradi sottozero e da con tollerare invece, temperature viche allo 0° C.

Queste piante sono modelli Interessanti perché hanno sviluppato strategie per sopportare radiazioni luminose elevate (fra cui radiazioni UV), rapide e ampie fluttuazioni termiche, venti violenti, stress idrlco, deficit minerale del suolo e periodi ridotti di crescita.

FAUNA

  1. maggior concentrazione di globuli rossi per unità di sangue.
  2. maggior presenza di acidi grassi insaturi nella zampa.
  3. accorclamento delle appendici (lepre bianca), arrotondamento del corpo (marmotta).
  4. mute del pelo, mimetismo
  5. letargo
  6. adattamenti della zampa (camoscio, pernice bianca)

lNTERAZIONI INTERSPECIFICHE

TABELLA RIASSUNTIVA DELLE INTERAZIONI INTERSPECIFICHE

NEUTRALISMO 0 0 le specie non interagiscono
COMPETIZIONE - - le specie si inibiscono a vicenda
AMENSALISMO - 0 una specie inibita, l’altra non influenzata
PARASSITISMO - 0 una specie avvantaggiata, l’altra inibita
PREDAZIONE + - una specie avvantaggiata, l’altra inibita
COMMEN5ALISMO + 0 una specie avvantaggiata, l’altra non influenzata
INQUILINISMO + 0 una specie avvantaggiata, l’altra non influenzata
PROTOCOOPEPAZIONE + + interazione favorevole a entrambe le specie
MUTUALISMO + + interazione favorevole a entrambe le specie (obbligatoria)

0 = assenza di interazione
+ = vantaggio
- = svantaggio

Due specie interagiscono quando hanno qualche attività o necessità in comune; i modi di interagire sono diversi e possono essere benefici, dannosi o neutri per una o entrambe le specie. I tipi principali di interazione sono la competizione interspecifica, la predazione, il parassitismo, il mutualismo e il commensalismo. Gli ultimi due non comportano danni per alcuna delle due specie; insieme al parassitismo rappresentano relazioni simbiotiche.

COMPETIZIONE INTERSPECIFICA: la competizione è una relazione tra due specie nella quale entrambe subiscono qualche svantagio. Gli organismi possono competere per fattori come il cibo, lo spazio, la luce solare o l’acqua. Quando una o più risorse sono limitate ogni specie entra in competizione con altre per la loro conquista. In un fiume, chiocciole e tartarughe acquatiche si nutrono entrambe dello stesso tipo di erba perciò la presenza nello stesso luogo di uno di questi due erbivori è dannosa per l’altro. In un habitat dove scarseggiauna certa risorsa, due specie non possono condividere esattamente la stessa nicchia ecologica, se non per tempi limitati.

Quando vi è competizione tra due specie quella che produce più prole, cattura più cibo o energia solare si difende meglio o riesce a limitare o impedire l’accesso dell’altra alle risorse, allarga la sua nicchia a spese di quella dell’altra specie. La costringe così ad emigrare o ne causa addirittura l’estinzione.

Due specie che sfruttano la stessa risorsa possono coesistere se riescono a ridurre la sovrapposizione delle rispettive nicchie ecologiche. Un modo di ridurre la sovrapposizione delle nicchie è quello di accedere alla stessa risorsa in tempi, modi o luoghi diversi. Per esempio, falco e gufo si nytrono di prede simili, ma uno va a caccia di giorno, l’altro di notte.

PREDAZIONE: c’è predazione quando un organismo vivente si ciba di un altro organismo vivente. I due organismi possono essere una pianta ed un animale erbivoro, un animale erbivoro e un carnivoro, due animali carnivori.

Certi animali catturano prede vive, altri si nutrono di carogne; tra questi vi sono gli avvoltoi, i corvi, le mosche. Le specie cui spetta il ruolo di prede hanno elaborato vari meccanismi di protezione e difesa: velocità negli spostamenti, vista acuta, olfatto molto sensibile, pelli coriacee, cortecce, corazze, spine, colori mimetici, produzione di sostanze chimiche repellenti, irritanti o tossiche. Numerosissime sono poi le strategia di comportamento, sia individuali che di gruppo.

I predatori, dal canto loro, hanno armi e metodi altrettanto vari per catturare e mangiare le prede.

Nel rapporto preda—predatore i due protagonisti si trasmettono a vicenda stimoli per elaborare metodi più efficaci di difesa o di offesa. Il ravvorto preda-predatore è molto importarte per il mantenimento dell’equilibrio ecologico perché controllano l’uno la popolazione dell’altro. I predatori eliminano dalla popolazone delle loro prede gli individui meno sani e più deboli, mantenendo in vita gli individui più resistenti e adatti, i quali trasmettono le loro caratteristiche ai discendenti. Se vi sono prede abbondanti aumentano i predatori, ma se questi catturano troppe prede il numero di esse si riduce eccessivamente e vari predatori muoiono o si riproducono di meno. Per ogni coppia predatore-preda esiste un rapporto ottimale tra numero delle prede e numero dei predatori, ma i numeri degli individui dell’una o dì entrambe le specie variano continuamente facendo oscillare anche il rapporto attorno al valore medio di riferimento.

PARASSITISMO: il parassitisrno è la relazione simbiotica che si instaura tra due organismi di cui uno, il parassita vive a spese dell’altro, l’ospite. Parassiti sono virus, batteri, protozoi, funghi, piante e animali e tra i loro ospiti si trovano pressocné tutte le specie di organismi viventi. I microrganismi più grandi possono ospitare parassiti di più piccole dimensioni.  Durante il loro ciclo vitale molti parassiti sfruttano due o più ospiti, un ospite definitivo o finale e uno o più ospiti intermedi in cui trascorrono parte del loro ciclo vitale. Gli ospiti intermedi che trasmettono attivamente i parassiti da un ospite finale a un altro sono detti vettori.

In base alla parte del corpo dell’ ospite che viene parassitata si distinguono gli endoparassìti (come i cestodi) , che vivono all’interno dell’ospite, e gli ectoparassiti (ad esempio i pidocchi), che colonizzano la superficie. La relazione può essere temporanea o permanente.

Il plasrnodio della malaria è un protozoo endoparassita permanente che colonizza i globuli rossi del sangue umano e viene trasmesso da una specie di zanzara (vettore). Ogni anno i parassiti della malaria colpiscono nel mondo, fino a 500 milioni di individui, uccidendone più di due milioni. I tripanosonium Africa ccausano la malattia del sonno e in Sud America il morbo di Chagas, malattie che complessivamente affliggono circa 20 milioni di individui. I nematodi colpiscono più di 1400 milioni di individui, mentre la filaria, responsabiledell’elefantiasi, ne affligge circa 100 milioni.

Fra gli ectoparassiti, le pulci, le zecche, gli acari e le sanguisughe causano irritazioni e ferite e sono vettori di molte gravi malattie.

Anche e piante possono avere dei parassiti che comprendono muffe, microrganismi o anche altre piante come il vischio, che vive sui rami di alcune specie arboree.

La stretta relazione esistente tra ospiti e parassiti è dovuta a una serie di adattamenti recproci che si sviluppa nei corso di molte generazioni. I parassiti sono altamente adattabili, che spesso sviluppano sistemi per schivare i meccanismi di difesa dei loro ospiti e resistenze ai farmaci e ai composti chimici usati per eliminarli. Per questi motivi sono molto dfficili da distruggere.

MUTUALISMO: il mutualismoè un tipo di interazione in cui entrambe le specie traggono benefici. Moltissime piante vengono irnpollinate da insetti, uccelli e altri animali. Queste piante hanno sviluppato particolari mezzi di richiamo per gli animali, quali il nettare oppure il polline ricco di vitamine e proteine. Contemporaneamente la struttura fiorale si è adattata agli animali impollinatori in maniera da facilitare il loro compito e da garantire il trasporto del polline. Le piante di legumi nutrono i batteri annidati nei loro noduli radicali ma ne ottengono l’azoto in forma utilizzabile. Piccoli pesci puliscono i denti a pesci più grossi ricavandone cibo.

I licheni crescono sulle rocce o sulla corteccIa degli alberi; un lichene è, in realtà, composto da due differenti organismi che vivono in associazione assai stretta. Uno è un’alga, un produttore microscopico che sintetizza il cibo con la fotosintesi. L’altro è un fungo, un consumatore che trae il suo cibo dall’alga, ma, in cambio, fornisce all’alga l’acqua necessaria per vivere.

COMMENSALISMO: nel commensalismo una specie trae vantaggi senza che l’altra ne venga aiutata né danneggiata. Molti crostacei vivono attaccati al corpo di grossi pesci o di balene dove trovano il cibo di cui si nutrono senza danneggiare il loro ospite.La remora è un pesce dotato dotato di una ventosa ovale sul lato dorsale della testa con la quale si attacca a grandi animai marini, il più delle volte squali. Poichè lo squalo lo porta a spasso, la remora usa poca energia per i suio movimenti. Inoltre la remora mangia i piccoli pezzi delle prede dello squalo che rimangono sospesi nell’acqua. Così la remora ricava il beneficio dalla sua relazione con lo squalo, mentre i suoi effetti su quest’ultimo sembrano essere nulli.

La Red Queen

“You have to run faster and faster
just to stay in the same place!”

Van Valen L. (1973): “A New Evolutionary Law”

Ogni specie possiede una data quantità di risorse genetiche casuali (variazioni) se l’ambiente si modifica la specie deve adattarsi alle nuove condizioni.

“La sopravvivenza è un’eterna corsa ad ostacoli: chi è fornito di più mezzi per correre e superare gli ostacoli vince, chi non riesce si ferma ed è perduto (estinzione)”

Questa è la cosiddetta “ipotesi della regina rossa” (il riferimento è ad Alice nel Paese delle Meraviglie) di Leigh Van Valen, biologo evolutivo.

Van Valen ha proposto la legge dell’estinzione costante: qualsiasi cambiamento evolutivo di una specie in un sistema ecologico ha conseguenze negative per una o più specie del sistema, spronando queste a evolversi a loro volta per rimanere allo stesso posto (cambiare per non cambiare).

Il termine coevoluzione si riferisce all’evoluzione di adattamenti determinati dalle interazioni tra specie. Confrontando i fossili di prede e predatori del passato con forme attualmente viventi si nota come la dimensione del cervello aumenti in entrambi, sia nella preda sia nei predatore, nel corso del tempo. Più furbo il preda{ore, più furba si deve fare la preda per sfuggirgli, più furba la preda più furbo deve diventare il predatore per catturarla e così via.

 


ghiacciaio di Salarno


Dosazzo


ghiacciaio di Salarno


pino cembro

 


laghi d'Avio


lago Dernal


chiesetta del lago Benedetto

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