cornetto di Salarno
larici nani
larici nani
rifugio Prudenzini
Salarno
lago Dosazzo
pino cembro
passo Gozzi
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LE PIANTE D’ALTA QUOTA
Principalmente queste variazioni modificano i
seguenti parametri climatici.
TEMPERATURE: queste diminuiscono con il
crescere della quota; è stimato che la temperatura in medie annue si abbassino
di circa ½ grado (0,55°C) ogni 100 m di altitudine.
Anche le escursioni termiche cioè le variazioni tra il giorno e la notte, sono più
limitate in pianura rispetto alla montagna.
PRECIPITAZIONI: esse vanno aumentando con l’altezza, fino ad un dato livello
(2000 – 2500 m), oltre il quale diminuiscono.
UMIDITA ASSOLUTA ATMOSFERICA: diminuisce
molto rapidamente con l’aumentare dell’altitudine; a 3000 m essa è circa a 1/3
di quella che si misura a livello del mare.
REGIME DEI VENTI:la montagna provoca la formazione di venti giornalieri o stagionali
maggiori rispetto alla pianura.
CONFORMAZIONE TOPOGRAFICA: i crinali, i versanti e le valli modificano sensibilmente le
esposizioni; la piovosità e il vento provocando variazioni locali nel clima.
In queste condizlonì le piante devono lottare contro il vento, il gelo, la copertura di
neve e la siccità.
Per questo motivo esse presentano adattamenti specifici atti a difenderle dalle condizioni estreme
dell’alta montagna.
Il vento e il carico della neve impediscono la crescita e l’attecchimento delle specie
arboree e quindi gli arbusti si presentano nella norma a “cuscinetto“ come nel
caso del ginepro prostrato (Juniperus nana), che forma larghe macchie
sempreverdi lungo i pendii sassosi.
Il gelo e la neve condizionano a tal punto l’attivita vegetativa che Le fioriture vengono
regolate esclusivamente dal periodo di scomparsa della neve. La siccità che,
ricordiamo non è propria solo dei climi caldi (l’acqua in alta montagna si disperde
facilmente o è presente in forma di neve o di ghiaccio e quindi non è assirnilabile
dagli apparati radicali) determina adattamenti tendenti a conservare l’acqua (piante grasse) o a
limitarne l’evaporazione attraverso la presenza di una fitta lanugine che
conferisce al fusto e alle foglie una colorazione grigio-tomentosa.
Molte piante si adattano all’evoluzione dinamica dei ghiaioni con apparati radicali capaci di
rispondere in modo “elastico” ai piccoli e continui movimenti del pietrame.
Il nanismo difende meglio dal vento e dagli altri agenti atmosferici, dalla traspirazione
e dal peso della neve e permette l’insediamento e la crescita anche in piccoli
spazi.
In questo modo anche alcuni piccoli arbusti con
aspetto tappezzante, dotati di rami legnosi e striscianti sulle rocce o sul
terreno o addirittura sotterranei come è il caso del salice erbaceo (Salix
herbacea) , possono svilupparsi anche a quote rilevanti.
Il rimpicciolamento può interessare anche solo alcune parti della pianta: spesso
le foglie sono minuscole e coriacee, ridotte a scagliette o sottili aghi, una
forma studiata apposta, peraltro, per limitare ancora di più perdita di acqua
per traspirazione.
Anche la lanugine vellutata che riveste molte piante alpine, più che una valida difesa
dal freddo, è in realtà ancora una volta una difesa soprattutto dalla
traspirazione:
l’obiettivo infatti è quello di creare un sottile strato isolante che rende meno brusca la
differenza di umidità tra l’atmosfera e l’interno della pianta, così da
rallentare l’evaporazione dai tessuti interni.
E dato che anche l’eccessivo surriscaldamento contribuisce alla traspirazione, si può operare
anche nel modo opposto: niente più lanugine, ma foglie ispessite e con una
superficie lucida che, come un piccolo specchio, riflette le radiazioni solari
più itense e, quindi più nocive.
L’effetto “specchio” è attuato peraltro anche dall’insieme degli stessi peli che sono
costituiti da cellule morte e traslucide, e quindi rifrangenti.
Quante piante alpine, infatti, spiccano per il loro colore bianco-argenteo, dato da una
lanugine fine e compatta. Ed ancora, la succulenza di alcune specie alpine,
specialmente quelle che vivono prevalentemente sulle rupi, risponde sempre ad
una necessità di risparmio idrico, né più né meno come le piante dei deserti.
La cosa è evidente nei Sedum e nei Sempervivum che hanno proprio l’aspetto di piccole
piante grasse, ma anche alcune primule e sassifraghe possiedono foglie
succulente.
Altro problema riguarda la riproduzione: a chi affidare il polline con la sicurezza
che almeno una parte arrivi a destinazione? Il vento è discontinuo, impreciso ed
inaffidabile e così, sebbene a queste quote comincino a scarseggiare, gli insetti
rimangono come norma gli interlocutori principali. Ma proprio perchè gli
impollinatori non abbondano è indispensabile per le piante produrre fiori che
siano facilmente percepibili dalla vista non certo perfetta degli insetti ed ecco
spiegata la particolare vistosità nelle forme e nei colori delle corolle fiorali
di molte piante alpine, quelle che in genere più ci entusiasmano.
Una tattica è
quella è quella di creare fiori di dimensioni abnormi rispetto alla taglia
globale della pianta (pensate ad alcune genziane, primule o campanule) oppure
di produrre fiori minuti, ma riuniti a decine ed addensati in infiorescenze di
vario tipo o in piante con aspetto a tappeto, cosicchè gli insetti non vengono
attratti dal cromatismo dei singoli fiori, ma dalla macchia di colore offerta
dall’insieme di tutti.
E se l’impollinazione non va a buon fine molte piante alpine ripiegano su mezzi di
propagazione alternativi: ad esempio l’allungamento di fusti striscianti-detti
stoloni – che producono nuovi cespi a brevi distanze dalla pianta madre (ne è
un bell’esempio il dorato Geum reptans che cresce sovente siui e sulle morene a
poca distanza dai ghiacciai) oppure la produzione di gemme o di bulbilli , da
ognuna delle quali si sviluppa un nuovo individuo (come in Polygonun, viviparum
e in Poa alpina, due comunissiml abitanti di pascoli e praterie alpine), I semi
delle piante alpine sono generalmente piccoli e leggeri o dotati di strutture
che ne facilitano la dispersione ad opera del vento: sono così strutturati. ad
esempio, i frutticini piumosi degli anemoni alpini (Pulsatilla alpina e
Pulsatilla vernalis), dei salici nani e di altre piante.
La maggior parte delle piante alpine è perenne; possiede cioè un apparato radicale
che rimane vitale per più anni, ben protetto d’inverno dal manto nevoso. Foglie e fusti
foriferi invece vengono di norma ricambiati ogni anno e i loro residui secchi
servono spesso a proteggere le gemme, situate a livello del terreno, che in
primavera devono prontamente rigermogliare, e, per guadagnare tempo, magari
quando la neve non a ancora completamente fusa, come usano fare abitualmente
le graziose soldanelle.
Qualcuna è anche dotata di organi sotterranei
carnosi (bulbi, tuberi) come è il caso del comunissimo croco (Crocus
albiflorus), un’altra pianta tra le prime a fiorire dopo il disgelo. Pochissime
e di piccola taglia sono invece le piante a ciclo annuale: troppo breve è
infatti l’estate alpina per garantire un periodo di tempo sufficiente allo
svolgimento di un ciclo completo, a partire dalla germinazione del semi alla
piena fruttificazione e disseminazione.
A questi adattamenti se ne aggiungono altri di natura fisiologica, non meno fondamentali
anche se non visibili in modo macroscopico. Basti citare il caso del ranuncolo
dei ghiacciai (Ranunculus glacialis) che nel suoi tessuti, accumula zuccheri
solubili come riserve - anzìchè amido come vuole la norma -, creando così una
concentrazione tale nei suoi succhi cellulari da abbassarne notevolmente il
punto di congelamento.
Adattamenti particolari possiedono, infine, piante di ambienti altrettanto particolari.
Le specie che vivono nelle pietraie e nelle colate detritiche, ad esempio, devono sopportare
oltre alla carenza di acqua e nutrienti, il rotolamento continuo delle pietre
che le possono spezzare o trascìnare in basso. soprattutto in conseguenza di
smottamenti o ruscellamenti superficiali di acque.
Alcune di queste specie (dette migratrici ) non offrono resistenze di sorta, limitandosi a ricoprire
il detrito più fine con aspetto tappezzante e con brevi radici che vanno poco
in profondità ma i loro fusticini sottili e delicati sono dotati di forte
capacità rigenerativa e pertanto, quando vengono frammentati e trascinati a
valie, sono in grado di originare nuovi cespi.
Altre specie
(dette “stabilizzatrici”), sono viceversa fornite dì apparati radicali più
forti ed organizzati, capaci spesso di approfondirsi notevolmente, ed in grado
così non solo di ricercare acqua e nutrienti a maggiore profondità, ma anche di
operare un primo serio tentativo di stabilizzare il pendio detritico in
movimento gravitativo.
Il bel papavero giallo (Papaver rhaeticum), presente sui ghiaioni calcarei,
appartiene a questa seconda categoria.
Simile per certi versi i problemi che devono affrontare le specie che vivono nelle fessure delle
rupi che devono far fronte principalmente alla carenza di spazio, di terreno e
di acqua. In questo habitat hanno dunque avuto un buon successo le cosidette
piante a “pulvino” che hanno un classico portamento a denso cuscinetto,
costituito da un apparato radicale normalmente allungato ed ingrossato, capace
di farsi largo nelle spaccature, e da numerosissimi fusticini raccorciati e
pluriramificati a raggiera che si addensano tra loro creando una trama
fittissima e composta nella quale l’acqua e l’umidità possono venire conservate
a lungo.
Ogni anno all’apice dei fusticini sono prodotti foglie e fiori nuovi mentre i residui di
quelli vecchi rimangono “intrappolati” nel cuscini stesso venendo col tempo
decomposti.
Insomma il cuscino cresce lentamente, ma su un substrato nutritivo che, almeno in parte si
produce da solo.
Hanno questo singolare aspetto diverse piante tra cui alcune androsace (Androsace vandelli,
Androsace helvetica), il cosidetto “muschio fiorito” (Silene acaulis), il
non-ti-scordar-di-me nano (Eritricumnanum) e alcune sassifraghe (Saxifraga
vandelli, Saxifraga bryoides).
Questi ed altri adattamenti permettono alle piante di raggiungere quote impensabili, che si
immaginerebbero incompatibili con la vita vegetale. Nella catena alpina il
record altitudinale di crescita di una pianta a fiori spetta al già citato
Ranunculus glacialis, trovato a quasi 4300 m nelle Alpi svizzere, ma un’altra
dozzina dl specie possono raggiungere o superare i 4000 metri e una cinquantina
i 3500 metri.
Muschi, licheni ed alghe hanno la capacità di vivere a
quote ben superiori a quelle raggiunte dalle piante con fiori. Destano
sensazione in particolare le incredibili alghe “delle nevi” organismi
unicellulari che si ammassano in colonie nelle nevi perenni, creando strane
macchie verdastre o rosso-brunastre, e coosì adattate al loro habitat da vegetare
in modo ottimale solo ad alcuni gradi sottozero e da con tollerare invece,
temperature viche allo 0° C.
Queste piante sono modelli Interessanti perché hanno sviluppato strategie per sopportare
radiazioni luminose elevate (fra cui radiazioni UV), rapide e ampie
fluttuazioni termiche, venti violenti, stress idrlco, deficit minerale del
suolo e periodi ridotti di crescita.
FAUNA
- maggior concentrazione di globuli rossi per unità di
sangue.
- maggior presenza di acidi grassi insaturi nella
zampa.
- accorclamento delle appendici (lepre bianca),
arrotondamento del corpo (marmotta).
- mute del pelo, mimetismo
- letargo
- adattamenti della zampa (camoscio, pernice bianca)
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