Anni I°-V° era B.




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Il senso del pudore

Forse non ho capito bene questa faccenda della tassa di successione che Silvio Berlusconi ha deciso di abolire nel primo dei primi cento giorni di vita del suo governo.

Se ho capito bene, il capo del governo ha deciso all’istante di detassare il suo patrimonio, come ogni altro patrimonio miliardario, affìnché i suoi familiari e discendenti possano di generazione in generazione ereditarlo intonso.

I ragazzi non potranno dire che è un frutto del sudore della loro fronte, ma questo sarà un titolo di merito in più.

Non c’è nessun conflitto di interessi in una misura legislativa così candida.
C’è una coincidenza di interessi perfetta e assoluto.
Supponendo che il presidente del consiglio disponga di un patrimonio di diecimila miliardi (non riesco a immaginare una cifra più alta), e supponendo che la tassa di successione sia da noi al 28% come in America (ma l’ineffabile sinistra di governo l’ha già ridotta a un ticket del 4%), il capo del governo regala a sé e ai suoi cari 2.800 miliardi:
una grande opera.

In più, alienando così vantaggiosamente il suo patrimonio, diventa povero e risolve il conflitto di interessi.
Se poi moltiplicate l’operazione per tutti i multimiliardari d’Italia, la somma sottratta all’erario basterebbe a sistemare l’intero sistema idrofognario (per restare in tema) del Mezzogiomo.

Secondo le filosofie liberali (non bolsceviche o socialdemocratiche) e le annose teorie economiche la tassa di successione ha valore di principio.
I miliardari americani implorano Bush di non abolirla o ridurla, perché dove va a finire sennò la leggenda del self-made-man, delle pari opportunità e vinca il migliore?

Ipocrisie borghesi, mi insegnavano un tempo i miei cattivi maestri, ma Luigi Einaudi ci credeva e i discendenti dei feudatari inglesi oggi aprono i loro castelli ai turisti per non finire in miseria.

E le biografie patinate del presidente del consiglio non lo hanno sponsorizzato come uomo di gavetta?
Dalla gavetta alla cornucopia nepotista.

Penso alla sofferenza interiore che deve provare un intellettuale liberale come Galli Della Loggia di fronte a questa decadenza del costume, alla difficoltà che incontrerà Lucio Colletti nel conciliare questi libertinaggi della casa della libertà con la filosofia di Popper, alle Fenici che il sottosegretario Sgarbi potrebbe ricostruire con quel 4%.

L’on. Violante vorrebbe devolverlo in borse di studio, ma dubito che capeggerà un ostruzionismo parlamentare dopo averlo deplorato dal suo alto seggio, oggi gratuitamente ereditato dall’on. Casini.

Forse, contro una norma legislativa ad personam così sfrontata bisognerebbe appellarsi alla Corte costituzionale dappoiché la proprietà privata è altrimenti concepita nella Costituzione.

Ma le Corti supreme, dalla Florida a Belgrado, contano meno di una pretura.
Oppure bisognerebbe ricorrere all’Aja, se quel tribunale americano avesse una sezione civile contro i crimini di pace.

Oppure appellarsi semplicemente al comune senso del pudore, come ha fatto saggiamente in extremis la signora Ferilli.

Luigi Pintor - il Manifesto - 30-6-2001 -





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....la Tremonti e gli investimenti in barche e Bmw

(...) in una intervista al capo della BMW italiana , pubblicata qualche giorno fa su "Il Sole-24 Ore (...) Richiesto di descrivere le condizioni della domanda per i prodotti della prestigiosa marca bavarese, egli ha affermato di vivere di vecchi ordini , poichè il mercato è fermo in attesa della legge Tremonti.

Altre fonti confermano che la domanda per tutti i beni, di consumo durevoli e di investimento, è crollata negli ultimi mesi.
Forse per un aggiustamento delle scorte, forse, come suggerisce il manager BMW, in corale attesa del governo ammazzatasse e della Tremonti Bis...

Questa è oggi arrivata e dalla lettera del suo testo si comprende che le attese della BMW Italia e forse

di tutti gli italiani abbienti erano ben riposte.

Come già avvenne nel 1994, la Tremonti permetterà alle imprese di comprarsi tante belle macchine di lusso per i propri proprietari e manager, un certo numero di barche da crociera, appartamenti di buon livello, ora anche per i lavoratori autonomi di alto bordo, e altro “equipaggiamento industriale” del genere.

I beni strumentali sono descritti dall’uso al quale sono adibiti, non dalle loro caratteristiche fisiche.
Ci mancherebbe altro.

Peccato che a pagare saremo noi lavoratori dipendenti che siamo pure, da una legge di dubbia costituzionalità, esclusi dalla festa.

Dal punto di vista macroeconomico, tuttavia, sarà il male minore, perché peggio sarebbe se gli imprenditori aggiungessero ai loro impianti altri aggeggi sostitutivi di mano d’opera, continuando a scendere la china descritta dalla Confindustria.

Forse compreranno anche camion furgoni e furgoncini, le cui vendite pure sono crollate nell'ultimo trimestre, e si capisce l'entusiasmo della Fiat per la legge Tremonti. (...)

Marcello De Cecco - Affari & Finanza - 9 luglio 2001



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da “La Repubblica” del 20 ottobre 2001 - di Giorgio Bocca:

quando parte la risacca della mafia

TANO Grasso il primo commerciante siciliano che si ribellò al pizzo della Onorata società non è più commissario dell’antiracket:

con rapida e strisciante decisione lo ha rimosso dall’incarico il ministro della risacca Scajola, si torna alla normalità indicata testé da un altro ministro, quello delle Infrastrutture Lunardl:
«Con la Mafia dob­biamo convivere»

I debiti vanno pagati, la vittoria elettorale della destra in sessantun collegi siciliani su sessantuno va onorata.
La notizia della rimozione di Grasso è stata ignorata, o data con il minimo risalto, dal mezzi dl informazione nazionali così come quel suo corollario che è l’abolizione delle scorte ai magistrati in prima linea nella lotta alla Mafia o nelle ultime indagini su Tangentopoli.

Con il plauso dell’avvocato Taormina e degli altri avvocati blocca-rogatorie che stanno al governo e nella indifferenza ormai scontata della pubblica opinione.

Quando parte la risacca della Mafia è come se un’Italia sino a ieri vigile e ardita scivolassero verso il nulla.
I giudici coraggiosi subiscono o chiedono il trasferimento, sostituiti da quelli con le facce di pietra e il sedere di ferro.
Non dimenticherò mai la grande risacca dopo l’assassinio del generale Dalla Chiesa sostituito dal prefetto De Francesco.
Prefettura e Questura cadute in un silenzio tombale, i collaboratori di Dalla Chiesa introvabili o muti, De Francesco nel suo ufficio seduto impettito, con un viso immobile da divinità incaica.
Rispondeva a monosillabi, evasivi, distante come il potere che sa e non parla interrogato da un signor nessuno.

Ritorna così la stagione del grande gelo fra le palme e i fiori di zagara:
il giudice LaTorre faceva fare le perizie a Londra, non si fidava dei luminari palermitani, i giudici Costa e Chinnici andavano su e giù in ascensore per parlarsi senza essere ascoltati, Borsellino in esilio a Trapani, Falcone a Roma, fra le scartoffie, commissari e brigadieri onesti in viaggio verso il continente...

La risacca mafiosa è leggibile solo dagli esperti nei suoi simboli, gli altri non devono capire o far finta di non capire.
Sessantun collegi su sessantuno regalati alla destra alle elezioni nazionali neppur uno all’opposizione:
quale messaggio più chiaro?
Tutta l’isola come Trapani, come Mazara del Vallo come i feudi di Riina di Bontade allineata in un voto di impudente unanimità e l’informazione nazionale non ha fiatato, nessuno fiata quando la risacca sta trascinando con sé memorie e coraggio civile.

Notori «amici degli amici» ai primi posti nelle liste del partito di governo, del resto una storia vecchia, dagli anni dell’Unità e anche dopo negli anni di Giolitti.
La risacca è anche il silenzio delle lupare.

Non ce n’è più bisogno:
all’assemblea regionale sono arrivati gli uomini del sacco urbanistico nelle città e sulle coste, e hanno subito aumentato gli stipendi ai loro amici, rimborsato quelli a cui è stata abbattuta la casa abusiva e ora si preparano alla spartizione della valanga di miliardi che stanno per arrivare dall’Europa.

La normalità...
I procuratori fastidiosi come Caselli sono stati spediti a Bruxelles a mangiare crauti e a bere birra, i grandi boss in carcere come il Pippo Calò, non rinnegano la mafia ma si riposizionano in quella senza sangue e stragi che non c’è mai stata;
al matrimonio della figlia di Riina sono arrivati in centinaia, in abiti da cerimonia, il carcere duro si ammorbidisce, i politici con le scorte servivano a poco:
tutte le volte che la Mafia ha deciso di uccidere un magistrato lo ha ucciso, le scorte di Falcone e di Borsellino sono volate in pezzi come i loro protetti.

Ma il segno è chiaro:
abbiamo firmato un tacito (e vergognoso) patto per la convivenza di cui parla il ministro delle Pubbliche strutture, con i maflosi d’ordine abbiamo ricominciato a fare affari e a spartirci gli appalti.
Al danno si aggiunge anche la beffa perché mentre si riducono le scorte degli onesti rimangono quelle che devono sorvegliare i mafiosi al confino o agli arresti domiciliari grazie ai falsi certificati di malattia di cui quasi tutti sono forniti:
migliaia di carabinieri, di poliziotti per i piantonamenti e le traduzioni da un tribunale all’altro.
Nella sola provincia di Caserta in un anno sono stati impegnati 16 mila carabinieri e 5 mila poliziotti.

Dice il presidente della Commissione del Csm per la criminalità organizzata:
«Il messaggio è chiarissimo.
Lo Stato non vuole più proteggere i suoi servitori più esposti.
E’ un giorno nero per la Repubblica italiana».

Ma i giorni neri passano uno dopo l’altro come i grani di un rosario senza fine.
Nascosti dietro la guerra dell’Afghanistan e la minaccia terroristica.





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SENZA LIMITI

Il premier annuncia ad ogni passo che cambierà il paese in modo radicale.
E lo fa.
Siamo alle soglie di una devolution che farà della repubblica una e indivisibile la sommatoria di regioni a legislazioni diverse.
Già sono stati ridotti i compiti dello Stato in tema di sanità e istruzione.

Si annuncia una modifica del sistema giudiziario attraverso nientemeno che l’abolizione dell’obbligo dell’azione penale, la messa del sistema accusatorio sotto l’egida del potere esecutivo, e quindi diventerà normale l’intervento del guardasigilli sui processi.

Già il governo modifica i diritti del lavoro e ridimensiona o ignora il sindacato.
E non sono poche le istanze nazionali e internazionali nelle quali Berlusconi va dicendo che le minoranze politiche e le opposizioni sociali non sarebbero che la cospirazione di facinorosi, comunisti e giacobini.

Di fronte a quanto accade, lo stesso conflitto di interessi sarebbe poca cosa qualora si limitasse a una questione di decenza morale.
Ma esso è stato, e resta lo strumento della costruzione di questo potere:
il possesso delle tv e dei media ha ristrutturato in profondità l’opinione.

Anche la riforma della magistratura è spuntata in relazione con le situazioni penali di Berlusconi, Previti ed altri.

Ne viene una degenerazione del sistema politico e istituzionale del quale tutta l’Europa parla, e se non interviene, salvo il ministro belga sbeffeggiato alla camera dal nostro primo ministro è perchè scottata dall’esperienza fatta con l’Austria a proposito di Haider.

Ma in questi giorni un’alta sede accademica a Parigi, sbalordita dal «noi tireremo diritto» di infausta memoria, ha discusso se l’Italia non si trovi in una situazione prefascista.

Non siamo al 1920.
Berlusconi non ha bisogno di mettere i partiti fuorilegge né di chiudere i giornali né di aprire dei campi di concentramento, perché la direzione cui tende è ambiguamente condivisa anche se i mezzi con cui lo fa inquietano.

Il fine che si danno oggi le democrazie europee non è più quello di una gestione delle risorse, nazionali o comunitarie, in vista della coesione sociale nelle varie versioni del «modello renano», bensì la competitività del sistema economico e monetario continentale sui mercati.

A questa va sacrificato tutto, la spesa pubblica, i diritti del lavoro, i salari, l’occupazione (in questi giorni la Corte costituzionale francese, della quale cinque membri su sette sono di destra, ha legiferato in questo senso).

Perciò se l’azienda italiana è debole, non è peccato chiudere un occhio sui suoi bilanci.
Se in casa c’è una certa scarsità di capitali, è bene aiutarli a rientrare attraverso una colossale evasione delle tasse.

Inoltre, in un paese come l’Italia di recente configurazione statuale, e di ancora più esili tradizioni democratiche, si è inclini a confondere legittimità e legalità (su cui martedì bene ha scritto Ida Dominijanni), inducendo un senso comune secondo il quale una elezione maggioritaria rende legittimo e legale qualsiasi agire dei vincitori, senza la salvaguardia delle regole che hanno paesi di più sperimentata struttura politica.

Che Benlusconi creda sul serio di potere, anzi di dover fare quello che il suo elettorato gli consente è certo.

L’autoritarismo berlusconiano sta installandosi in modo soft, a opinione pubblica sonnacchiosa e opposizione parlamentare flebile.
Questo spiega l’irrigidimento ora della scuola pubblica ora dei magistrati ora dei sindacati.

Borrelli ha chiamato a resistere.
Ha torto?
Non l’ha.
Non divaghiamo sui toni.
Programma e ideologia della Casa delle libertà sono ai limiti della lettera costituzionale e da un pezzo fuori dal suo spirito.
E, ci permettiamo di suggerire, sarebbe utile che Carlo Azeglio Ciampi ne desse un cortese ma fermo avviso.
Qualcosa di più che un richiamo alle virtù del dialogo.

di Rossana Rossanda - il Manifesto 17 gennaio 2002







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...... è stata dura ma finalmentte è finito anche l'anno V dell'era B.....


(lettera al Manifesto 21-04-2006)
Un dubbio
Data la veemenza con la quale la Cdl insiste sulle verifiche dei voti, inizio a credere che in effetti i brogli ci siano stati - da parte loro ovviamente - e pertanto non riescono a capire come ciononostante abbiano perso le elezioni.
D'altro canto il divario di 5 punti percentuali che usciva dagli exit poll poteva essere colmato solo grazie a brogli elettorali.
Paolo Ferrari


......... quante speranze ......... quante delusioni ........

Chi dobbiamo ringraziare?
Mastella
Dini
De Gregorio
Fisichella
..........
Turigliatto ?