....fucilazioni....durante la grande guerra


disobbedienti

...."sul fronte dell'Adamello"....

home page

sentiero degli invasi idroelettrici

Valsaviore Val Malga Val Paghera Val d'Avio

Centrale di Edolo

da: Guerra Alpina sull'Adamello - 1917-1918 - di Vittorio Martinelli - pag. 473 e succ.
edizioni D. & C. Povinelli - Pinzolo 1998

Fucilazioni

È un argomento spinoso e doloroso, ma sarebbe scorretto ignorarlo.

Non si è mai saputo con precisione quante siano state nell'Esercito Italiano durante la Prima Guerra Mondiale.
Da una comunicazione ufficiale del Ministro della Guerra, Gen.le Albricci, ne risulterebbero inflitte 1006, delle quali
729 eseguite con condanna regolare e
141 con carattere di esecuzione sommaria;
ma è probabile siano state molte di più.

S'ignora se siano stati fucilati anche ufficiali: si parlò di un Aspirante.

Tutti gli "Adamellini" ai quali rivolsi domande a quel riguardo, hanno dimostrato profondo dolore e viva pena - dopo più di cinquant'anni - al solo accenno, anche se non erano stati implicati in quelle vicende, che, anzi, i più avevano appreso soltanto per sentito dire.

Mi dissero di ricordare che gli episodi furono due, i condannati cinque.
Inutile citare i nomi dei reparti e dei responsabili, se pur così si possono davvero chiamare:
non conosco i nomi delle vittime.


Inverno 1915-16.
Al Tonale viene comandata una pattuglia di pochi uomini per scoprire le posizioni nemiche.
Ne fanno parte tre Alpini camuni, che dimostrano poco entusiasmo nell'andare avanti e s'appiattano piuttosto di frequente dietro i massi.
Al rientro, il sergente che comandava la pattuglia fa rapporto al capitano.
Questi potrebbe infliggere una punizione anche forte, invece inoltra il rapporto al comando del battaglione.
Si infila la via gerarchica.
Il rapporto finisce a Brescia al Comando di Corpo d'Armata e là si decide di dare un "esempio":
i tre poveretti vengono condannati alla fucilazione nella schiena.
L'esecuzione avviene sul piazzale del Grande Albergo, alla presenza delle truppe:
Mi disse Gianni Pagani, ch'era presente: "Uno spettacolo da non poter dimenticare in tutta una vita!".


1916.
Dall'accampamento di Cavaione (a sud di Temù, in Val d'Avio, oltre l'Oglio) due Alpini della 161a Compagnia del "Mandrone" fuggono nottetempo per fare un salto a casa.
Tutto è tranquillo e si può presumere che il reparto resterà a riposo ancora qualche settimana.
Invece, improvvisamente, la compagnia viene inviata in linea:
la cosa non si può più tenere coperta, in questi casi c'è poco da scherzare, facessero tutti così!
Inutilmente il tenente Luigi Peretti che comanda la compagnia tenta di difendere i suoi uomini:
per poco non viene incriminato lui stesso:
Accusati di diserzione di fronte al nemico, i due poveretti vengono condannati senz'appello e fucilati a Ponte di Legno nel gennaio 1917.

Questo è quanto mi fu riferito da Rolandi, Varenna e Pagani in base ai ricordi personali; ma erano trascorsi più di cinquant' anni.


Dal volume di Forcella e Monticone (bibl.) risultano altre cinque fucilazioni.

Il 27 settembre 1916 una grossa pattuglia della 244a Compagnia del "Val d'Intelvi (5° Alpini) al comando di un sottotenente, salendo dalla Val Genova la Valle di Cercen a sud della Busazza avrebbe dovuto attaccare frontalmente un piccolo posto sulla Quota 2427, che disturbava notevolmente e rendeva insicuri i movimenti sul fondo della Val Genova.

Altre due grosse pattuglie, al comando del sottotenente P. e dell'Aspirante T., avrebbero dovuto operare in Val Gabbiolo per impedire la ritirata del presidio attaccato.
La prima occupò effettivamente la quota, presidio riuscì a ripiegare, in quanto la pattuglia dell'aspirante non giunse sul posto.

Era accaduto che costui, dicendosi indisposto, aveva affidato il comando al Sergente D. N., (fino a pochi giorni prima caporalmaggiore di cucina) che aveva ai suoi ordini due caporali.
I soldati si dissero stanchi e rifiutarono di proseguire, nonostante il sergente e i graduati facessero del loro meglio per indurli a obbedire:
constatato che non ci riuscivano, mandarono ad avvertire il capitano comandante la compagnia, il quale inviò l'Aspirante G. Costui ordinò che tutti si mettessero in marcia, ma dopo una mezz'ora la pattuglia fu investita - senza danno - da una scarica di fucileria:
i componenti si sbandarono e approfittando del terreno frastagliato e boscoso, si dileguarono;
l'aspirante si trovò con un caporale e due soldati e proseguì con loro, ordinando agli altri di fare altrettanto, ma quelli si nascosero, presentandosi solo ore dopo, ad azione conclusa.

I graduati che s'erano eclissati si difesero dicendo che un gomito della strada, il rumore delle cascate, la nebbia, avevano impedito di vedere l'aspirante e di udirne gli ordini;
e che tuttavia, circa due ore dopo, avevano radunato i soldati disponendoli in ordine di sicurezza, dato che avevano avuto notizia dell'avvicinarsi di una pattuglia austriaca, sulla quale, anzi, avevano fatto aprire il fuoco.

Il Tribunale Militare di guerra del III Corpo d'Armata in Ponte di Legno il 20 ottobre 1916 emanò la sentenza:
20 anni di reclusione militare per i graduati, tenuto conto delle attenuanti per la totale inettitudine al comando e per aver - sia pure molto tardivamente - riuniti e disposti a difesa gli uomini;
per i cinque Alpini, condanna a morte mediante fucilazione nel petto per il reato di sbandamento ("di grave entità politica") considerato più grave in quanto commesso prima dell'azione, rispetto a quello di chi lo commette sotto il fuoco, perché preso dal panico.

Le vittime, tutte incensurate ed "analfabete":

nome -- prov. -- anni ---professione ---stato civile

G.C.--- Como ---- 24 --- bracciante --- coniugato con prole
F.C. ---Sondrio - 28 --- contadino --- id.
Z.N. ------ ? --- 29 --- id. ---- id.
B.G. ---Vicenza - 22 -- id. ---- celibe
Br.O. -- Alessandria -22--id. ---- id.



Dal diario del dott. Bertolini risulta quanto gli riferì il Cappellano Militare del 39° Fanteria, Don Pagnini, che assistette i condannati.

Erano già trascorsi venti giorni dal fatto, quando ai cinque, appartenenti al "Monte Mandrone", fu ordinato di scendere a Ponte di Legno presso le salmerie del battaglione.
Ritenevano d'essere destinati a qualche servizio speciale e come d'uso per prima cosa, si recarono in un'osteria a mangiare e bere:
là furono arrestati dai Carabinieri.

Processo, condanna alla "pena capitale":
non avevano compreso cosa significasse, toccò al Cappellano spiegarlo.
Uno cadde svenuto, un altro baciò il ritratto della madre esclamando:
"Povera mamma, non t'ho mai dato un dispiacere ed ora avrai il dolore di sapermi morto disonorato."

Sullo spiazzo prescelto, i soldati del plotone d'esecuzione - per norma, della stessa compagnia dei condannati - li abbracciarono piangendo.
Uno si avvolse il capo nella mantellina e attese così la morte;
un altro si tolse dal dito un anello d'oro e lo consegnò ad un componente del plotone dicendogli di ricordarsi di vendicarlo.

Scrive Bertolini:
"L'effetto fu disastroso sul morale della truppa.
Tutti stigmatizzarono la sentenza perché avvenuta troppo tempo dopo il fatto, lasciando i pretesi delinquenti con i compagni, come se nulla fosse accaduto;
poi perché quei giovani erano incensurati e anche se colpevoli, non lo erano al punto di meritare una condanna capitale.

Evidentemente, in seguito ad ordini superiori, si è voluto dare un esempio, ma la scelta dei capri espiatori è stata bestiale..."

Poi però, fors'anche per l'enorme sensazione provocata da quell'episodio, le cose cambiarono.
Naturalmente, gli Alpini che abitavano nelle vallate vicine non rinunciarono a scappare a casa;
ma i loro ufficiali s'adoperarono sempre a coprire quelle assenze:
arrivarono a fabbricare a posteriori licenze-premio o per esigenze familiari inventate, licenze che non avrebbero potuto concedere e per le quali spesso si buscarono gli "arresti".

Tra ufficiali e soldati s'era formato un clima nuovo:
la montagna e la guerra erano insostituibili scuole di cameratismo, di stima, di affetto reciproci.
E non ci fu più alcuna fucilazione, almeno per quanto a conoscenza degli amici "Adamellini".


Un altro episodio - purtroppo risulta invece dal diario di guerra del Cappellano Militare Don Primo Discacciati -
Ospedaletto da Campo n. 25 - sotto la data del 10 agosto 1918.

- una telefonata mi chiama al Comando di Zona per le 14.30.
Mi incammino pensando che cosa potrebbero volere da me.
Mi presento al Capitano Rebora, aiutante maggiore, il quale mi dice la causa della chiamata:
assistere a un tribunale di Guerra.

Questo ha luogo alle 16 presso il Ponte de' Buoi (sull'Oglio, in Val Camonica, tra Precasaglio e Pezzo):
imputati cinque mitraglieri Alpini del Batt. Susa 35 Sezione.
Il tenente che li comandava aveva riferito al Capitano che egli e tutti i suoi uomini si prestavano volentieri per partecipare all'azione che avrebbe dovuto aver luogo il giorno 7.
Non era vero e quando venne un'altra sezione a sostituirli per essere pronti all'azione, non vollero lasciare la posizione.

Il tenente impotente a farsi ubbidire telefona al Capitano il quale riesce ad imporsi e la sezione scende in valle.
I 5 colpevoli, a detta del tenente, siedono sulla panca degli imputati.
Presiede il tribunale il Colonnello comandante il 3 Raggruppamento Alpino:
ha la faccia, la voce, il gesto di un contadinetto brianzuolo.
Al suo fianco il colonnello del 7 fanteria di marcia, un altro colonnello alpino, e vari capitani e il difensore "avv. Mignoli" torinese.

Due compagnie alpine armate fanno quadrato:
in mezzo gli imputati e il tribunale sopra rozze panche, intorno 500 o 600 soldati delle varie armi come curiosi, più lontano in disparte i testimoni:
il tenente di cui sopra, due sergenti e 2 soldati semplici.
Si incomincia a leggere l'atto d'accusa come risulta dal Verbale, poi vengono interrogati testimoni e imputati e si ha l'impressione che si tratti di una "gonfiatura" tanto è vero che il Capitano si era fatto subito ubbidire e la Sezione aveva lasciato il posto con armi e bagaglio tranquillamente.

Tale è la tesi prospettata anche dal difensore, mentre il Pubbico Ministero aveva chiesto la fucilazione di tutti gli imputati.
Nel pubblico, ufficiali e truppa, si è ormai certi che non vi sarà alcuna pena capitale: sono le 18.30....

I giudici intanto discutono per una diecina di minuti, isolati in mezzo al quadrato delle truppe che si è molto allargato per evitare che si possa udire quanto dicono.
Gli spettatori chiaccherano e ridono in attesa della sentenza:
in gruppo, circondati dai Carabinieri con baionetta inastata, i cinque imputati attendono.

Guardo i giudici per leggere sui loro visi il verdetto:
il Presidente Colonnello Piva sorride tra i baffi irsuti e si dà una fregata mani, un Capitano gesticola animatamente, gli altri sono tranquilli.
Hanno finito, si stende la sentenza:
Piva appoggia le mani sul tavolino, alza una dopo l'altra le gambe al di sopra della panca tavolino che gli serve da sedile, siede e firma.

Le truppe, ancora in quadrato, vengono avvicinate insieme agli imputati per udir leggere la sentenza.
Il Maggiore che comanda fa inastare le bajonette e presentare le armi:
il silenzio è sepolcrale.

Viene letta la sentenza dal Presidente Piva:
Caporale Bellotti comandato alla fucilazione nella schiena, due altri venti anni di reclusione, due prosciolti.

Il tribunale si ritira immediatamente:
l'impressione è enorme.

Io non voglio credere alle mie orecchie, il dubbio dura poco.
Un sergente (vice brigadiere - ndA) dei Carabinieri viene a chiamarmi a nome del Capitano che deve comandare l'esecuzione.

Mi presento:
"Ella sa quanto deve fare, mi dice! Vede quella specie di trincea? Bisogna condurlo là".

Il condannato rimasto solo in mezzo ai sei Carabinieri - gli altri imputati furono allontanati - singhiozza.
Lo avvicino gli metto un braccio al collo:
"Andiamo, gli dico, coraggio, tutto il tuo coraggio è necessario!"

Egli ha un moto di ribellione:
"No, non vengo, grida, non voglio morire".
I carabinieri lo afferrano e lo trascinano;
io vado cercando le parole per confortarlo, ma non le trovo:
solo i miei occhi pieni di lacrime parlano.

Dietro le due compagnie armate e un nuvolo (sic!) di soldati;
a pochi passi il picchetto che deve fucilare: 12 soldati.
Mentre camminiamo verso il luogo della esecuzione incomincio a ritrovare le parole:
parlo della misericordia di Dio, ricordo i suoi genitori morti che l'aspettano, dico che all'unica sorella superstite, in mezzo al dolore, sarà di conforto il sapere che è morto pentito e rassegnato.

Il disgraziato piange:

"Ma perché togliermi la vita? Io non ho fatto né più né meno degli altri!
E poi dicono barbari gli Austriaci ... ma non è da barbari uccidermi così come un cane?
E ridevano gli scellerati mentre mi condannavano a morte e guardi guardi quanti vengono a vedermi morire!
E non tentano nemmeno di liberarmi i vigliacchi!"


Dopo otto o dieci minuti siamo al luogo della esecuzione:
ormai davanti all'inevitabile è più calmo e rassegnato.
Mi consegna il portafoglio e il borsellino con preghiera di recapitarlo alla sorella e lo esorto a scrivere un ultimo saluto alla poveretta, ma non vuol saperne:

"Scriva lei, mi dice, scriva lei".
Sono solo con lui, i Carabinieri si ritirano di qualche passo, la fila più lontana di un centinaio di metri:
vicino ai Carabinieri il picchetto di esecuzione, schierati su due ali le due compagnie a baionetta inastata;
attendono che io abbia finito di riconciliarlo con Dio!
Ho finito, l'infelice bacia due o tre volte appassionatamente il Crocifisso e si siede su uno sgabello.
Di fronte abbiamo un macigno, è necessario spostare più a destra lo sgabello perché le palle rimbalzando potrebbero procurare disgrazie.

Mentre i Carabinieri adempiono questo ufficio, il condannato si appoggia alla mia spalla:
siamo in alto sopra una specie di rialzo dove si mettono i bersagli per il tiro;
sotto di noi la trincea dei soldati puntatori.
Questa volta il bersaglio è vivente.
Quando lo sgabello è a posto, faccio di nuovo sedere il condannato, la fronte rivolta alle truppe.
Il Capitano mi fa segno di voltarlo:
deve essere fucilato alla schiena.
Il condannato ha un moto di ribellione, ma poi si rassegna.
Io gli metto un fazzoletto agli occhi, un Carabiniere con una corda gli lega le mani dietro la schiena.

Sono ancora solo son lui:
lo bacio sulla fronte "a nome della sorella" poi gli faccio baciare ancora il Crocifisso.
Voglio trattenermi vicino a lui fino all'ultimo.
I soldati sono a 10 passi di distanza hanno già caricato le armi:
ho sentito il rumore degli otturatori mentre facevo baciare il Crocifisso.

Un segno del Capitano e mi allontano, pronunciando ancora parole di conforto.
Tra questo istante e la scarica passarono per lo meno due o tre minuti:
i soldati commossi non sapevano mettersi in posizione.

Il condannato se ne stette seduto tranquillamente:
non so come non sia svenuto e precipitato dallo sgabello.
Alla scarica si rovesciò giù dalla scarpata, rimanendo inerte bocconi sul terreno: ore 19.

Fui il primo ad essergli vicino:
non un sussulto.
Un capitano medico gli prese il polso, se lo trattenne in mano per qualche istante: "E morto", disse.
"Bisogna seppellirlo.
Vi è la buca dei puntatori, lo gettiamo lì e riempiamo di terra".

"No, rispondo io, giustizia è fatta, ormai essa non ha più niente a che fare con un cadavere.
E' necessario seppellirlo in un cimitero".
Viene spedito un tenente al Comando Zona per ricevere ordine, si risponde di seppellirlo nel Cimitero di Pezzo.

Sono quasi le 20 quando io con 4 alpini recanti la barella del fucilato risaliamo la valle pel Cimitero militare di Pezzo.
Là troviamo una fossa già scavata e deponiamo il cadavere ricoprendolo con 20 cm. di terra;
non abbiamo strumenti per fare di più, d'altronde il Capitano comandante l'esecuzione ha assicurato che avrebbe mandato gli Zappatori il mattino seguente e confido nella sua parola.

Quando ritorno all'Ospedaletto alle 22 l'emozione e la fatica deve avermi ben cambiato i lineamenti del volto perché i miei Ufficiali non possono fare a meno di notarlo.
Mangio un boccone e vado a letto.
Sarà un episodio che non dimenticherò vivessi mill'anni.
Caporale Bellotti Antonio fu Ambrogio e Bandera Maria.
IMMAGINI


caserma
Campellio




Venerocolo
1917




lago di campo
2001




Adamello
1978




Venerocolo
1917




lago di campo
2001




cresta
croce




Adamello
1978




lago di campo
2001




mortaio
149 G




"cagnari"
1915-18




lago di campo
2001




Adamello
1978




"conducenti"
1915-18



bivacco
Giannantonj



Adamello
1983




passo
Salarno



passo
Salarno



val di fumo
1980



Adamello
1984



lago di campo
2001




Valsaviore Val Malga Val Paghera Val d'Avio

sentiero degli invasi idroelettrici

Centrale di Edolo



home page


Last updated 7.10.2007