Escursioni in Val d'Avio
Avio
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torbiera di malga Lavedole
da Pantano: Val d'Avio 1985
da Venerocolo: Val d'Avio
lago Pantano
Venerocolo e Pantano
Centrale di Pantano 4 aprile 84
da Venerocolo a Pantano
Adamello 1994
Laghetto d'Avio
Avio
Avio e diga Benedetto
lago Benedetto
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Attorno al pianoro sono molto evidenti le rocce “montonate” dagli antichi ghiacciai e diversi archi
morenici tardiglaciali. Ancora 12.000 anni fa nella zona di Malga Lavedole
confluivano le lingue dei ghiacciai del Venerocolo, dell’Avio e di quello che
scendeva dal versante Est del Baitone.
Continuando lungo il sentiero n° 11, segnato con tratto bianco e rosso, ci si inoltra nell’ampio
ripiano, lasciando sulla destra Malga Lavedole, e poco più avanti si
attraversa il torrente che scende dalla Val di Venerocolo.
Le sue acque sono lattiginose perchè ricchissime di limi in sospensione prodotti dall’usura delle
rocce per l’abrasione esercitata dai ghiacciai. Sul greto, tra ghiaie silicee e
sabbie fini, vivono alcune specie pioniere come Cardamine resedifolia,
Achillea moschata, Leucanthemopsis alpina, Lotus alpinus. Oxyria digyna e Epilobium
fleischeri, piante che almeno in parte rivedremo più in alto, sulle
morene.
Si riprende a salire, per lo più tra cespuglieti di rododendro ferrugineo con radi larici e cembri; poi,
guadagnato un centinaio di metri di dislivello, si prosegue per un buon tratto
in piano fino all’inizio del cosiddetto “Calvario”. Significativo nome della
ripida, assolata mulattiera di guerra che si inerpica a zig-zag sul fianco
della VaI di Venerocolo verso il Rifugio Garibaldi.
Il paesaggio, con i suoi diversi toni di verde, offre la possibilità di individuare a distanza le
principali tipologie vegetazionali: in basso, i radi lariceti misti a cembro
che sfumano verso l’alto, poi gli scuri cespuglieti a rododendro e a ontano di
monte e le praterie di un verde più chiaro. Ancora più su domina il grigio
delle pietraie e delle rocce, regno della vegetazione pioniera d’alta quota.
L’Adamello, intanto, è sempre più vicino e maestoso con le sue superbe pareti, alte
quasi 1000 metri, e sempre più ampio è il panorama sulla testata della valle, dove
spicca la grande diga del Lago Pantano.
Oltre all’Adamello coronano il vastissimo anfiteatro la Cima Plem e il
massiccio del Baitone, che si protende verso nord con la rupestre catena di cime
che termina con il Monte Avio e il Corno di Mezzodì. Continuando la risalita del
Calvario compare, in alto, la diga del Lago Venerocolo, mentre contro il cielo
si delinea il profilo del Corno Bianco e del profondo intaglio del Passo
Brizio: è la porta per i grandi ghiacciai e per la vetta dell’Adamello.
Quando il pendio si attenua ci si affaccia alla Conca del Venerocolo dove sorge la chiesetta della
Madonnina dell’Adamello, eretta durante la prima guerra mondiale, e dove si
trova il lago artificiale del Venerocolo.
Con la costruzione della diga del Venerocolo (tra il 1956 e il 1959) si è creato
un invaso lungo 860 m, largo 305 m, profondo 28 m, con una capacità di 2.500.000 m’
che ha sommerso il preesistente laghetto naturale dalle acque poco profonde, ricchissime di
limo glaciale in sospensione. Le sue sponde, in parte sassose e in parte
sabbioso-limose, erano caratterizzate da una vegetazione a Eriophorum
angustifolium, Eriophorum vaginatum e Carex fusca e anche a muschi
acquatici che formavano comunità estese e di notevole interesse. Poco più in
alto si estendeva invece un pianoro umido per lo più con vegetazione a Trichophorum
caespitosum e anche a Sphagnum compactum, che probabilmente formava
lo sfagneto a più alta quota del territorio dell’attuale Parco dell’Adamello.
Continuando verso l’interno della conca si oltrepassano in pochi minuti il bivio con il
sentiero n. 42 e quello con il sentiero n. 1, per giungere infine al Rifugio Garibaldi (2548 m;
ore 3.15) che costituisce la nostra meta.
Il Rifugio, posto in magnifica posizione al cospetto dell’Adamello e
del crepacciato Ghiacciaio del Venerocolo, costituisce la base per importanti
ascensioni ed escursioni nel Gruppo e anche per due itinerari descritti in questo stesso
volume: alla vetta dell’Adamello (che richiede attrezzatura e pratica
alpinistica) e alla Punta del Venerocolo che, pur essendo poco impegnativa,
consente ugualmente di godere un grandioso panorama sui ghiacciai. È di
proprietà della sezione di Brescia del CAI, dispone di 120 posti letto ed è
stato inaugurato nel 1959. lI precedente rifugio, ora sommerso nel lago, poteva
alloggiare 68 persone ed era stato costruito durante la prima guerra mondiale
quale sede dell’infermeria Carcano (dal nome del medico che lì operò durante
tutto il conflitto). A sua volta aveva Sostituito il primo Rifugio Garibaldi,
ora anch’esso sommerso, che disponeva di 12 posti letto e venne inaugurato il
24 agosto 1894.
Durante la prima guerra mondiale, nei dintorni di quest’ultimo,
sorse un grande villaggio in grado di offrire ricovero a più di 1000 persone,
si realizzò l’infermeria con termosifoni, bagni e luce elettrica e si
costruirono grandi magazzini con riserve di emergenza per più di 15 giorni.
Imponente era il sistema di trasporti che riforniva questa base, da cui
dipendevano tutti i reparti che operavano sui ghiacciai. Quotidianamente
diverse centinaia di persone e muli salivano da Temù portando legna, viveri, materiali
e munizioni che in buona parte proseguivano poi per i passi Brizio e Garibaldi.
Più in là, attraverso i ghiacciai del Mandrone e della Lobbia Alta, il
trasporto era assicurato da slitte, al cui traino erano addetti nel 1918 ben
220 cani. L’installazione di una rete di teleferiche accelerò i rifornimenti e
rese possibile la permanenza delle truppe in alta quota anche durante
l’inverno.
Per il ritorno si può seguire in senso inverso il medesimo percorso dell’andata e
in 2 ore e 30 minuti scendere a Malga Caldea, dove è iniziata l’escursione.
Con una variante consigliabile - che viene ora descritta - è invece possibile
raggiungere il Lago Pantano e quindi Malga Lavedole. Qui si chiude il tratto
ad anello del percorso, che prosegue poi in discesa verso Malga Caldea lungo
la stessa via seguita in salita. Questo itinerario comporta circa un’ora in più
di cammino ma offre la possibilità di compiere un ampio giro alla testata
della valle con notevoli motivi di interesse naturalistico e paesaggistico.
Dal Rifugio Garibaldi torniamo dunque per breve tratto sui nostri passi per
imboccare, al primo bivio, il sentiero n. 1 (alta via dell’Adamello), che
attraversa la diga del Venerocolo e poi scavalca la grande morena che il
bacino, lasciando sulla sinistra il n° 11 per il Passo Brizio.
È un imponente argine morenico di origine recente, edificato durante la Piccola
Età Glaciale (1550 - 1850) dal Ghiacciaio del Venerocolo, la cui fronte è
vicina ma poco evidente perchè mascherata una coltre di detriti rocciosi. Ciò
ha probabilmente preservato il Venerocolo dal forte ritiro che ha invece caratterizzato gran parte dei
ghiacciai delle Alpi (tra il 1919 e il 1994 la sua fronte si è ritirata da 2520 m
di quota a 2560 m).
Per avvicinarci alla lingua glaciale conviene scendere sul pianoro sabbioso che si estende dietro la
grande morena e salire il corso d’acqua che lo attraversa. In breve si arriva così
al punto in cui il lattiginoso torrente, ricco di limi e sabbie, sgorga
impetuoso dalla galleria che si è scavata alla base del ghiacciaio. Nelle
vicinanze piccoli seracchi e crepacci evidenziano ancor più l’esistenza della fronte,
che in alcuni tratti appare col ghiaccio nudo, privo di copertura morenica.
Attorno il paesaggio è grandioso, con l’incombente parete nord delI’Adamello che domina
la vasta conca in cui si adagia il Ghiacciaio del Venerocolo, candido e
crepacciato nella sua parte superiore.
Attraversato il torrente che drena le fusione del ghiacciaio si prosegue lungo il panoramico
sentiero che, in meno di un’ora dal rifugio, incontra la lunga cortina rocciosa che
separa la Conca del Venerocolo da quella dell’Avio. È la cresta nord-ovest
dell’Adamello, e per scavalcarla il sentiero si inerpica in un canalino che porta alla Bocchetta del
Pantano, detta anche Passo del Lunedì (2650 ore 4.10).
Al di là del torrente si possono osservare vaste superfici quarzodioritiche
montonate e striate, ancora perfettamente lisce e prive di alterazioni
superficiali. Tra gli sfasciumi e le morene si può invece ammirare splendida
flora pioniera dei ghiaioni silicei, che è tra l’altro rappresentata da Doronicum
clusii, Achillea moschata, Leucanthemopsis alpina, Cardamine resedifolia, Ranunculus glacialis, Geum
reptans, cerastium uniflorus e Silene acaulis.
Dalla Bocchetta del Pantano si discende con il ripido sentiero nella Conca dell’Avio, dominata dalla
parete ovest dell’Adamello, dalla Cima Plem e dal Corno Baitone. Si prosegue
poi in leggero pendio con un lungo, panoramico traverso a mezza costa,
raggiungendo così, in poco più di un’ora e mezzo dal Rifugio Garibaldi, la
grande diga del Lago Pantano (2378 m; ore 4.50), dove si abbandona il sentiero n. 1.
Rispetto alla frammentaria vegetazione pioniera incontrata prima della Bocchetta del Pantano, la copertura
erbacea tende ora a costituire tappeti continui, mentre rocce e massi sono
quasi completamente ricoperti da licheni crostosi. Si tratta di una
vegetazione più evoluta, che indica che in questa parte della Conca dell’Avio
la coltre glaciale si è ritirata diverse migliaia di anni fa. Invece, ancora
nell’Ottocento, una lingua del Ghiacciaio dell’Avio scendeva nella vicina conca
del Pantano fin nella zona dove si trova il grande serbatoio idroelettrico. E’
un lago artificiale lungo 1080 m, largo 530 m, profondo 52 m, con una capacità
di ben 12.300.000 m’. Venne realizzato attorno al 1955 e assieme al serbatoio
del Venerocolo, realizzato pochissimi anni dopo, alimenta la centrale del Lago
Benedetto. Come è avvenuto per tanti altri laghi artificiali, anche in questo
caso è stata sommersa una bellissima zona umida naturale, detta Pantano
dell’Avio (2327 ml, cosparsa di isole sabbiose in parte fissate dalla
vegetazione. Soprattutto sulle sue sponde orientali si estendeva una
vegetazione a Trichophorum caespitosum, mentre in alcuni tratti era
prevalente una vegetazione a Eriophorum anguStitolium e a Eriophorum
vaginatum, spesso con Carex fusca e Luzula alpino-pilosa.
Scesi nel pianoro alla base della diga lo si attraversa e quindi si raggiungono, un po’ più a valle, sul
versante opposto, i ruderi di alcuni edifici nei pressi dei quali si imbocca il
sentiero n. 12 (segni bianco-rossi) che scende Verso Malga Lavedole.
Poco dopo l’inizio della discesa si entra in un folto cespuglieto a Rhododendron ferrugineum, in
cui sono abbastanza comuni Juniperus nana, Alnus viridis e, a tratti, Salix
helvetica. Presto compaiono anche le avanguardie della vegetazione arborea,
rappresentate da sparsi individui di Pinus cembra e di Larix decidua che
formano un bosco molto rado ma splendido, anche per la presenza di tanti alberi
plurisecolari. Notevole è ad esempio, al margine destro del sentiero, un tozzo
cembro (Pinus cembra) mutilo all’apice, con un enorme ramo spezzato alla
base e con il tronco di ben 3,90 m di circonferenza. Tenuto conto del
lentissimo accrescimento a questa quota (2230 m) si tratta certamente di un
esemplare vecchissimo, che, immobile ai piedi dell’Adamello, ha assistito al
trascorrere dei secoli.
Giunti in vista di Malga Lavedole è possibile osservare dall’alto, proprio a fianco della malga, una
estesa prateria pianeggiante, in gran parte costituita da una vasta torbiera. È
l’antico e ormai interrato Lago Lavizolo, oggi coperto in massima parte da
vegetazione igrofila a Carex rostrata e, in minor misura, a Carex
fusca. Nei minuscoli specchi d’acqua residui, localizzati al margine sud,
ospita colonie di Equisetum fluviatile, peraltro abbastanza diffuso
anche nella vegetazione a Carex rostrata. Sempre nella zona umida sono
inoltre presenti i non comuni Epilobium nutans e Carex brunnescens. Il
biotopo è però importante soprattutto sotto l’aspetto faunistico perchè ospita
la sola popolazione di tritone alpino (Triturus alpestris) attualmente
conosciuta nel Parco dell’Adamello.
Proseguendo in discesa si raggiunge in pochi minuti il pianoro di Malga Lavedole (2044 m; ore 5.30) dove,
attraversato il torrente e un tratto di pascolo pianeggiante, si confluisce
nel sentiero n. 11 percorso in salita all’andata. Per tornare al punto di
partenza non resta perciò che seguirlo in discesa e raggiungere Malga Caldea
(ore 6.50) sicuri, ormai, che qui sorprendenti incontri non se ne fanno più.
Molto è infatti cambiato dal lontano 1889, quando la Guida alpina della
provincia di Brescia definiva “la Valle dell’Avio, prediletta agli orsi”.
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