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Incisioni di Sonico pag. 1 Incisioni di Sonico pag. 2 Incisioni di Sonico pag. 3

Valcamonica Preistorica

MEGALITI di BRETAGNA

le immagini sono tratte dai volumi:
"I Megaliti di Bretagna" - di Jacques Briand edition Jean-Paul Gisserot - 1991 -
Preistoria in Bretagna di Pierre-Roland Giot editions d'art Jos Le Doaré - 2000 -
"I Camuni" -Jaca Book- e "Valcamonica una storia per l'Europa" -edizioni del Centro- di E. Anati

MEGALITISMO


menhir


frammento di statua menhir


menhir


ideogrammi


menhir


ideogrammi


menhir


il "sacerdote" che corre


menhir


personaggio con casco raggiato


menhir


scene di danza


menhir


idolo farfalla


menhir


scena di incantazione


menhir


dio "Cernunnos"


menhir


ideogrammi


menhir


ideogrammi


menhir


figura umana, telai e palette


menhir


personaggio con casco raggiato


menhir


scene di danza


menhir


idolo farfalla


menhir


scena di incantazione


menhir


dio "Cernunnos"


menhir


ideogrammi


menhir


ideogrammi


menhir


figura umana, telai e palette


menhir


menhir


frammento di statua menhir


menhir


ideogrammi


menhir


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menhir


il "sacerdote" che corre


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personaggio con casco raggiato


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scene di danza


menhir


idolo farfalla


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scena di incantazione


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dio "Cernunnos"


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figura umana, telai e palette


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dio "Cernunnos"


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figura umana, telai e palette


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frammento di statua menhir


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il "sacerdote" che corre


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personaggio con casco raggiato


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scene di danza


menhir


idolo farfalla


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scena di incantazione


menhir


dio "Cernunnos"


menhir


ideogrammi


menhir


ideogrammi


menhir


figura umana, telai e palette

Si riporta da :"Preistoria in Bretagna" Menhir e Dolmen di Pierre-Roland GIOT éditions d’Art jos le Doaré - 2000 -

PREISTORIA IN BRETAGNA

Menhir e Dolmen

LA PIETRA

Sull’orlo di un sentiero che scende serpeg­giando sulla collina, spicca a mezza-costa una massa biancastra in mezzo alla vegetazione. Si è sorpresi, avvicinandosi, di riconoscere non un tronco d’albero ma una pietra eretta, enorme, arrotondata e coperta di muschio da un lato; frastagliata ed asimmetrica sugli altri lati. Alto il doppio di un uomo, questo blocco, simbolo di una stabilità millenaria, erige fieramente verso il cielo una massa di mezza dozzina di tonnellate. Visto da un altro lato, disegnandosi sull’orizzonte, fa pensare ad una sagoma umana, eretta e pietrificata. Di notte potrebbe impaurire i turisti che fanno tardi.

Persa nelle campagne, questa roccia non è certo qui in seguito ai malefici di un gruppu­scolo contrario allo sfruttamento turistico del territorio o grazie a qualche municipalità che ha voluto erigere un monumento comme­morativo. Non è neanche il frutto dei sogni malsani di un borghese romantico che ha acquistato un moderno Obelix di pietra per piantarlo in mezzo al prato coltivato davanti alla sua casa. E’ un vero monumento antico nel suo luogo di origine, l’unico luogo dove possa avere un senso.

I MENHIR

Questa pietra non è eretta per motivi naturali ma grazie all’ intervento umano. Ed è un vero e proprio monumento anche se a prima vista può apparire grezzo. I pochi frammenti archeologici sotterrati alla sua base permettono di situarlo nella sequenza delle varie civiltà preistoriche. Gli uomini che lo innalzarono, coltivavano già cereali, fabbricavano ceramica cotta, levigavano rocce dure e tenaci ma scheggiavano ancora il selce. Conducevano una vita sedentaria, vivevano in villaggi con dimore di legno o costruite con impasti d’argilla e paglia; allevavano il bestiame ma non disdegnavano la caccia, la pesca, la raccol­ta di frutti selvatici. Calcolando il radio­carbonio contenuto nei grani di carbone di legno, possiamo anche dire che a seconda dei casi sono passati dai, 7000 ai 4000 anni dall’ erezione di questa pietra. Corrisponde alle civiltà del periodo chiamato dagli archeologi “Neolitico”.

Percorrendo così le lande e i “bocage” (tipici paesaggi bretoni), nei pressi delle coste o sulle groppe e creste dell’ interno, nei boschi o vicino alle valli, si possono incontrare numerosi monumenti anche se si trovano pure in molte altre regioni dell’ Europa occidentale.

Un esame più attento mostra che la base conficcata di più decimetri nella terra, e bloccata con forza da pietraie. Se si muo­vessero queste pietre, il monolitico oscille­rebbe lentamente. Nel fondo del buco, si troverebbero dei cocci di terracotta rozzi; delle schegge di selce, forse un’ascia di pietra levigata o dei frammenti di una macina per grano. Alcune pietre sono state bruciate e ci possono essere ancora delle carbonelle, la cerimonia di fondazione di questa pietra fu accompagnata da un fuoco.

Alla fine del XVIII secolo, “degli antiquari” (come si diceva allora per parlare degli archeologi) le assegnarono il nome bretone di MENHIR, “pietra lunga”, anche se in questa lingua con altri termini, convenga meglio chiamarle “Peulvan” (pilastro di pietra). Per il fatto che delle parole bretoni sono state assegnate a questi monumenti, troppa gente si immagina che siano specificamente armori­cani. Tuttavia, sono molto più numerosi in questa parte d’Europa.

I menhir si trovano quasi sempre sui pendii e raramente sulle cime. Ce ne sono in fondo alle valli o nelle zone basse, d’altronde tutta una serie di menhir isolati si trovano vicino a sorgenti d’acqua o sui percorsi dei ruscelli. Questi monoliti possono essere soli oppure sono rimanenze di insiemi, poichè altri sono associati a monumenti funerari o ad altri menhir. Formano allora dei monumenti complessi che possono avere connessioni ad un livello superiore. Facevano sempre parte di un paesaggio, nel quale erano integrati e dove giocavano il loro ruolo, la loro visibilità era comunque assicurata in alcune direzioni. Molti sono stati distrutti, soprattutto durante gli ultimi millenni, per questo dopo il massacro è più difficile capire e giudicare la relazione tra loro e con il loro territorio. Osserveremo che i fulmini a volte cadono su di essi e se si considera nei millenni il tasso di distruzione parziale osservato nel corso di cinquanta anni, il fulmine sarà stato un fattore non trascurabile della loro sparizione, dopo il furore iconoclastico o irriverente degli uomini che sono succeduti ai loro costruttori.

La loro forma varia molto a seconda della roccia che li costituisce. Un blocco naturale isolato dall’ erosione, a seconda dell’ uso, veniva utilizzato o forse sommariamente sgrossato approfittando delle giunture. Di quarzo, di quarzite, di conglomerato, si trovavano dei blocchi irregolari di dimensioni limitate; gli scisti più resistenti davano delle placche frastagliate. La roccia preferita è stata comunque il granito. Nel caos dei blocchi granitici si potevano trovare le forme desirate. Una roccia, anche se poco sporgente poteva essere staccata dalla base su un lato esso pre­senta una spaccatura, sugli altri lati, una superficie erosa più tondeggiante. Questo spiega la forma di molti menhir di granito curvi salvo da un lato, come se fosse presente una “Marmitta dei giganti”, e altre forme di ero­sione naturale in posizione aberrante. L’estra­zione dei blocchi si doveva effettuare facendo cedere le giunture della roccia, seguendo il metodo degli anziani cavapietre che facevano gonfiare delle cugne di legno secco nelle insenature che erano ottenute per martellatura.

In Bretagna esistono diversi menhir evidentemente tagliati o almeno regolarizzati da martellatura o bocciardatura talmente belle sono le loro forme; sono in genere dei grandissimi monumenti. Come quello del Champ-Dolent, vicino a Dol-de-Bretagne (Jlle-et-Vilaine) alto 9,50 m, quello di Saint­Samson-sur-Rance (Còtes d’Armor) inclinato ed alto 7 m nel paese del Léon (Finistère), quelli di Saint-Gonvarc’h in Landunvez alti 6 m, di Kerreneur o Kerhouegel in Porspoder alto 6,50 m, il menhir coricato di 10,50 m e il menhir in piedi di 9 m a Kergadiou in Plourin-Ploudalmezeau; quest’ultimo è il menhir dalle forme più perfette che sia visto da un lato largo che, soprattutto, dai lati stretti. Infine, sempre in Léon, il menhir di Kerloas (o Kerveatou) in Plouarzel alto 10 m, è il più grande menhir in piedi.

Nell’insieme, le dimensioni dei menhir sono molto varie; misurano da alcuni decimetri fino a più di 20 m, altezza che doveva avere il più grande menhir, oggi spezzato di Locmariaquer (Morbihan) il quale come vedremo, fu abbattuto di proposito, come altri, relativamente poco tempo dopo essere stato messo in piedi. I più grandi menhir ancora in piedi sono alti dai 10 ai 12 m (base compresa) e rappresentano dei pesi considerevoli. Quello di Locmariaquer poteva pesare 300 t. (una stima corrente è di 350 t.) e quello dell’ Ile Melon in Porspoder (Finistère) alto 7 m e distrutto durante l’ultima guerra, raggiungeva 80 t. circa.

Il più delle volte, è stata utilizzata una roccia delle immediate vicinanze ed il trasporto, in questo caso è stato molto breve, benchè sia stata comunque una bella impresa. Vicino al menhir di Men-Marz, a Pontusval in Brignogan (Finistère) alto 10 m, si vedono le rocce dalle quali proviene. Esiste un certo numero di esempi di trasporti, dimostrati geologicamente in modo chiaro, che raggiun­gono dai 3 ai 4 km (fra i quali quelli dei monumenti già citati di Plouarzel e di Dol). Per terra queste operazioni si facevano su dei rulli, seguendo percorsi con poca pendenza; sollevando alternativamente le estremità di una pietra con delle leve di legno, la si poteva spostare a mo di granchio senza subire tutto il suo peso. Nel trasporto via acqua, veniva immerso e portato con una zattera, il che diminuiva di un terzo circa, lo sforzo da fare.

Si incontrano raramente, dei megaliti a base piana semplicemente posati in equilibrio. Per la maggior parte erano piantati scavata la fossa, vi si doveva fare oscillare il blocco, spinto in caso di bisogno su di un rinterro notevolmente alto, questo veniva distrutto dopo la sistemazione definitiva. Per i menhir di piccola o media grandezza, dei sostegni di tronchi d’albero potevano facilitare la loro erezione. Per i cavi, una liana come la clema­tite poteva fornire delle corde resistenti.

Nelle regioni povere di materia prima, il legno poteva sostituire la pietra.
E’ molto raro che i menhir abbiano delle raffigurazioni scolpite o in falso rilievo. Sembra che in origine, molti menhir possano essere stati ornati, ma che l’erosione abbia fatto sparire queste raffigurazioni molto esposte agli agenti atmosferici; il granito in particolare si squama grano a grano (molti menhir di granito alterati hanno potuto perdere qualche centimetro).
Altri possono essere stati dipinti o usati come scheletro in­terno per una cappa intrecciata di fibre vegetali. In ogni caso, alcuni di questi monu­menti hanno conservato delle incisioni cinque serpenti al Manio di Carnac (Morbi­han), o dei rilievi, delle asce con manico a Saint Denec in Porspoder (Finistère), dei bastoni a Kermaquer in Moustoiriac (Morbi­han). Il grande menhir spezzato di Locmaria­quer, porta, cancellata dall’erosione un’ascia col manico o ascia-aratro.

Recentemente si è dimostrato che le tavole di copertura delle sepolture di Gavrinis, della Table-des-Marchand e di un altro tumulo vicino provenivano dalla frammentazione e dalla dispersione di una grande stele alta quasi 14 m, che riporta in falso rilievo, tra due raffigurazioni di asce-aratro col manico, quelle di due bovidi. Anche altre tavole di copertura di Locmariaquer, adornate o no, proverrebbero dallo spezzettamento di altre steli dello stesso genere.

Il bel menhir inclinato di Saint-Samson-sur­Rance (Còtes d’Armor) presenta una faccia piana interamente guarnita da insiemi di rettangoli visibili solo con la luce radente di fine mattinata, con in mezzo dei bastoni e delle asce-aratro col manico ed, ancora più sorprendentemente, animali che sicuramente la trainavano; le facce laterali mostrano il ritorno degli insiemi, dei bastoni e delle asce-aratro col manico. L’erosione non facilita la lettura di queste raffigurazioni e le curvature non permettono di decifrarle simultaneamente.

Più frequenti sono le “cupules” (specie di crogiolo a forma di coppella) isolate o in gruppo, che si incontrano su blocchi di ogni epoca, quando non sono dovute ai semplici fenomeni naturali.

È importante non confondere con i menhir propriamente detti, steli dalle forme chia­ramente geometriche comuni in tutta la Bretagna occidentale. Queste sono dell’Età del Ferro e sono state spesso cristianizzate.

LE CINTE E GLI ALLINEAMENTI MEGALITICI

Le cinte


I raggruppamenti complessi di menhir formano due grandi categorie gli allinea­menti e le cinte che a volte sono associate. In generale, i blocchi di questi gruppi di monu­menti sono meno imponenti di quelli dei menhir isolati e molto spesso, restano abba­stanza informi. Dei cumuli di terra o pendii potevano completare gli insiemi, almeno se crediamo alle antiche descrizioni, però, essendo più vulnerabili, spesso sono scom­parsi. Resta da stabilire se non ci fossero rela­zioni con la sistemazione delle pietre o se, al contrario, dei ciglioni che separavano le coltivazioni, non hanno inglobato dei residui di file di pietre ingombranti, come si può constatare sempre più spesso.

Le vere cinte megalitiche non sono molto frequenti in Armorica; non si devono confon­dere con un tumulo o una pietra tombale. Ci possiamo chiedere se la strana cinta ellitica di pietre combacianti che abbiamo trovato sotto il tumulo neolitico di Tossen-Kéler a Penve­nan (Còtes d’Armor), ricostituita in un giardi­no sulla banchina di Tréguier, s’innalzava prima all’ aria aperta. Tuttavia riutilizzava alcune lastre chiaramente prelevate dalle spolture megalitiche smantellate. La possibile distruzione della sua estremità orientale non ci impedisce di capire che il suo tracciato era abbastanza geometrico. Esistono delle cinte di forma quadrangolare, ma per esempio, il quadrilatero di Manio a Carnac è sicuramente il contorno di un tumulo. Il quadrilatero di Crucuno a Erdeven, orientato esattamente sui punti cardinali, con delle diagonali orientate secondo il sorgere del sole ed il tramonto non è l’effetto di una restaurazione troppo ispirata dallo spirito del sistema. Le cerchie di pietre numerosissime nelle Isole Britanniche sono più rare sul continente. In Armorica sono rappresentate con probabilità, dai due ovoidi o cerchi schiacciati tangenti dell’ isola d’Er­Lannic a Arzon (Morbihan) il cui restauro ha purtroppo alterato la forma. Uno dei due cerchi ora è, totalmente sommerso e l’altro parzialmente, in seguito al continuo innalza­mento del livello del mare successivo alla fine dell’ era glaciale. Associate a questo cer­chio, si sono trovate numerose tracce di attività neolitiche industriali o culturali. Dopotutto, si è abbastanza sorpresi dello scarso numero di cinte riscontrate rispetto a quelle supposte, anche se quelle di legno sono sparite senza lasciare tracce. Si può pensare che culti ulteriori le abbiano perseguitate.

Gli allineamenti

Si possono distinguere due grandi categorie di allineamenti megalitici. La prima è com­posta dai grandi campi formati da diverse file parallele di menhir o di blocchi di dimensioni in generale decrescenti iniziando da un estremità benchè sembri che in un monumento completo, le dimensioni tornino più impor­tanti verso l’altra estremità. Però i monumenti veramente completi non esistono più. In ogni caso, in quelli che sono meglio conservati, le file partono perpendicolarmente alla corda di una cinta ovale di menhir combacianti.

Questo, almeno nei monumenti più celebri che si incontrano a Carnac. Nel Ménec, rimangono 1.169 menhir tra i quali 70 nei resti dell’ ovale sparso tra le case e i giardini del villaggio e 1.099 pietre in piedi su 11 linee, con una larghezza media di 100 m per 1.167 m di lunghezza che sfocia ai resti più rovinati di una seconda cinta ovale, della quale rimarrebbero 25 pietre. In mezzo al campo formato dalle file, l’orientamento subisce una netta deviazione. A Kermario rimarrebbero 982 pietre (c’è chi dice 1.029) raggruppate in 10 linee principali larghe circa 100 m e lunghe 1.120 m con una grande complessità di deviazioni e di file parziali ed anche una trasversale; invece non rimane niente della cinta ovale occidentale di questo insieme, a parte la sua area sgombra e non c’è nessuna indicazione sull’ altra estremità. A Kerlescan, rimarrebbero 594 menhirs tra i quali 39 sulla cinta ovale occidentale (si sono ritrovati i buchi e i bloccaggi di alcuni altri) e 555 in 13 linee per una lunghezza di 880 m e una larghezza di 139 m per la parte principale, prolungata con un altro orientamento e attraverso delle lacune da alcune file (conosciute sotto il nome di Petit-Ménec). Questi tre campi principali si seguono con intervalli che vanno dai 250 ai 400 m circa, pur cambiando orientamento. Per rispondere ad una domanda fatta spesso, le pietre rialzate nell’epoca moderna sono state segnate da un piccolo buco quadrato alla loro base, riempito di cemento rosa.

Esistono ancora, nel Morbihan nei pressi di Carnac, altri allineamenti importanti. A Kerzehro a Erdeven, ne rimarrebbero 1129 su 10 linee nella parte principale, poi degli ele­menti sparsi di orientamento mutevole: Sainte­Barbe a Plouhamel e il mulino di Saint Pierre­Quiberon, hanno conservato alcuni resti di cinte ovali oltre alle file di menhir. Un ovoide solo, sussiste a Kergonan nell’ Ile-aux-Moines.

Però tali monumenti composti da diverse file di menhir non esistono solo nei pressi di Carnac. Altre regioni della Bretagna ne hanno alcuni esemplari : Pleslin (Còtes-d’Armor), Langon (Ille-et-Vilaine). A Penmarc’ h (Finistère) un campo di menhir che possedeva circa 500 pietre un secolo e mezzo fa è quasi completamente rovinato. Numerosi gruppi di viali con due file parallele sono conosciuti nelle Isole Britanniche, però sembra che non si siano sviluppati sul continente.

Gli allineamenti semplici formati sia da una sola fila, sia da alcune file con orientamenti diversi, quindi che si incrociano, sono diffuse in grandi quantità in tutta Armorica. La maggior parte hanno solo poche pietre come ad esempio quelle delle Montagne Nere che hanno subito grossi danni : (Tn Men, Le Tre Pietre a visibili Saint-Goazec sono le più visi­bili). Tra i più impressionanti, citiamo quelli a Sud-Est di Saint-Michel di Brasparts (Fini­stère) disposti su due file, e quelli restaurati di Lagatjar a Camaret (Finistère) dove le tre-file secanti sono chiare. Degli scavi recenti sul sito del Moulin-de-Cojoux a Saint-Just (Ille-et­Vilaine) dove rimangono degli elementi con due file secanti, hanno mostrato, nella meridionale, l’associazione di pali di legno con piccole pietre in piedi in un insieme di strutture successive complesse. Un po’ più lon­tano, si è osservato l’incastonamento di una fila di pietre alzate in un basamento allungato di pietraie. una sorte di fondo o di tumulo molto basso, sovrapposto a dei focolari selciati datati tramite analisi radiocarbonio tra i 5000 e i 4000 anni prima della nostra era, dove forse alcuni menhir possono essere stati sistemati Un focolare sotto gli allineamenti di Kersolan a Languidic (Morbihan) è stato datato di qualche secolo prima.

Dappertutto in Europa Occidentale, dove ci sono dei menhir, ci sono degli allineamenti. Ma questi non si limitavano alle pietre rimanenti oggi.
Due menhir bastano per segnare un orien­tamento; se ce ne fossero di più sarebbero quasi troppi, perché complicherebbero le cose e questo potrebbe diminuire la precisione benchè non si sappia mai quale sia la verticale esatta corrispondente alle posizione di una pietra un pò voluminosa. La questione degli orientamenti dei monumenti megalitici, studiata da almeno un secolo, è stata resa più complessa da lavori fantasiosi o imprudenti che vanno a discredito generale dei lavori seri basati su dei fatti meno contestabili o comunque redatti con prudenza. Si è comin­ciato con lo scoprire delle approssimate orientazioni riferibili al calendario solare, solstiziali o equinoziali, poi stellari o lunari, un po per caso e sono stati ritrovati un po qui un po’ là. È possibile che ci sia stato qualcosa del genere, però molto meno preciso di quanto ci si possa immaginare. In alcune ipotesi in voga alcuni anni fa, qui si potreb­bero trovare diversi elementi di grandi osservatori destinati a prevedere le eclissi. Malgrado i tentativi di dimostrazioni sofisticate, niente è stato sinora validamente provato. E lo stesso vale per l’utilizzazione di unità di lunghezza, di figure geometriche pita­goriche o altre, o ancora di disposizioni quasi geodetiche. E troppo facile riscontrare delle coincidenze che però non provano niente.

Tutti i dati di cui disponiamo, in definitiva non ci informano molto sulla ragione dell’ essere delle pietre erette che rimangono spesso pudicamente circondate da mistero.

Forse è meglio così, perchè può darsi che in seguito alle rivelazioni insolite dell’ etnografia comparativa nel mondo apprende­remmo cose orribili senz’altro diverse da quelle suggerite alcuni secoli fa che rende­rebbero le nostre pietre meno simpatiche. E per questo che il loro studio fu a torto, rela­tivamente trascurato.Talvolta ci si è sforzati di interpretarli con uno studio comparativo delle leggende che sono state tramandate fino ad oggi però senza risultati molto signi­ficativi. Perchè fosse trasmesso qualcosa ci sarebbe voluto più continuità da parte dei popoli che si sono succeduti. Possiamo concludere che sono monumenti religiosi. Questo attributo impreciso che non ci impedisce di andare avanti, è un modo per velare la nostra ignoranza. Le pietre erette si riferivano al culto divino, e perchè no, per eccellenza, al principale emblema della divi­nità tra i primitivi e i popoli semi civilizzati il sole che muore e risorge ogni giorno. Nel panteon dei costruttori di megaliti, il sole doveva avere infatti, un ruolo predominante come lasciavano capire diversi indizi. Ma non si deve dimenticare che la luna gioca un ruolo di primo piano nei calendari primitivi che sono in generale luni-solari, a causa della nozione di mese lunare. Saper predire le eclissi, eventi talvolta sensazionali ma poco frequenti, sarebbe stato evidentemente prestigioso per la classe sacerdotale per la quale la divinazione aveva un ruolo importante, essendo la veggenza come l’intercessione qualità richieste in ogni società. Infine la forma a volte molto sugge­stiva di numerosi menhir sotto certi punti di vista come per le pietre erette similari dell’ Africa o dell’ Asia, hanno fatto pensare verosimilmente che simboleggiassero anche la fertilità la cui raffigurazione si associa facilmente al sole, generatore di tutte le cose.

LE SEPOLTURE MEGALITICHE

Il culto dei morti era l’altro elemento rituale importante dei popoli preistorici come per ogni civiltà, anche se questa venerazione rappresenta spesso un modo di preservarsi dalla maledizione dei defunti. È per questo che gli altri monumenti megalitici che servivano da tomba o almeno da ossario, erano consacrati a questo culto e ad attività associate a questo. Monumenti a volte impres­sionanti, segni di riti funerari spesso munifici, come pratiche molto più modeste, attestano una credenza se non all’ immortalità totale, almeno ad una metempsicosi o ad una rein­carnazione, ed anche ai poteri benefici o malefici che avevano i morti. La rappresenta­zione più o meno stilizzata, sui lati di alcune tombe oppure statue rozze di un’ altra divinità della fertilità che è la dea-madre o grande dea, la stessa usanza di deporre un mobile funerario destinato a sopperire ai bisogni del “grande viaggio” e della vita futura, implica la nozione di una rinascita dopo l’ultimo respiro. Le pietre erette avevano una connotazione maschile e celeste, le sepolture megalitiche facevano parte più del dominio della terra-madre, con un significato femminile come le grotte e tutto quello che è sotterraneo.

In opposizione ai costumi funerari contem­poranei in Europa orientale e in Europa centrale, come in Europa mediterranea dove ci si limita a sepolture individuali più spesso in posizione ripiegata o accovacciata (ricor­dando quella del feto) che allungata, isolate o riunite in necropoli, le nostre prime sepolture megalitiche, quando chiaramente la conser­vazione delle ossa è assicurata, si mostrano collettivi, sono state utilizzate come “tomba di famiglia” o di una comunità, anche se solo una selezione di persone ne ha avuto il diritto, durante parecchie generazione. Però, in questo modo le cose sembrano molto più complesse e la nozione semplice di sepolcro èpiù o meno sostituita da quella di casa dei morti o casa degli antenati, da tempio della terra che dà nutrimento e che fa da casa a tutta una collettività.

LE TOMBE MEGALITICHE E LA LORO VARIETÀ

Contrariamente alla sepoltura individuale in cui il defunto occupa lo spazio di una piccola fossa che poi è colmato, sino ad un piccolo cofano o cassone di pietra dove è ripiegato, il cui volume è di poco differente a quello di una tomba moderna, le camere funerarie collettive hanno un volume molto più importante. Si possono distinguere due categorie elementari di camere funerarie dei tempi neolitici.

1° - Le grotte sepolcrali, che possono essere il risultato di una semplice appropriazione di grotte naturali che, una volta, si pensava fossero all’ origine di tutta questa architettura funeraria. In un paese dove non esistono le cavità naturali, si poteva, quando la pietra era abbastanza friabile (il gesso per esempio, come in Champagne) scavare delle grotte artificiali. In Bretagna non riscontriamo né le une né le altre. Siamo portati a credere che essendo le rocce del sottosuolo troppo dure, furono costituiti dei monticelli che ricopri­vano delle costruzioni imitando così una grotta. Questo schema a prima vista sedu­cente deve essere invertito, poichè presenta difficoltà geografiche e cronologiche su scala europea; infatti le sepolture tagliate nella roccia sono tardive e imitano le tombe megalitiche molto anteriori.

2°- Le camere funerarie costruite sul suolo, in generale ricoperte di terra (poggio o tumulo) o di pietre (cairn) per renderle stagne, possono quindi avere una certa somiglianza con una caverna, ma i loro dettagli di costruzione con delle lastre o blocchi di pietre, rivelano analogie di piani e di esecuzione con le case di legno con graticcio ed impasto d’argilla e paglia delle quali i costruttori sono ben noti in certe regioni. Mentre le case dei vivi erano fatte per durare un tempo limitato, però erano abbastanza comode, le case dei morti erano costruite per sfidare l’eternità.

In genere, se la roccia è sul posto o vicino, le cripte artificiali sono formate da una ossatura o scheletro interno di grandi lastre da cui il nome giustificato di camere megaliti­che, etimologicamente soddisfacente. Un assemblaggio di pietre può essere utilizzato parzialmente o totalmente. E in uso chiamare “megaliti”, monumenti che non meritano esattamente questa qualificazione, benché facciano parte dello stesso insieme di civi­lizzazione, e che la massa totale dei materiali accumulati sia dello stesso tipo e grandezza.

Bisogna tener conto sia delle qualità di adattamento dell’ essere umano che de1a sua forza d’inerzia o del suo conservatorismo. Nelle regioni dove sarebbe stato acile scavare delle grotte artificiali, non fu fatto. Il legno ha potuto essere utilizzato in altre regioni se non altro come travi di ricopri­mento. Ne restano solamente rare tracce. Anche dei monumenti che ci sembrano attual­mente incompleti o rovinati forse compren­devano strutture in legno. Ad ogni modo ci voleva molto legno, tronchi, impalcature, leve per sistemare le lastre di pietra. Le regioni nelle quali non si trovano megaliti, pure trovandosi nell’ aria di distribuzione generale di questi monumenti sono spesso quelle in cui tipi di costruzioni perenni non erano possibili. Si è notato, almeno in Bretagna, che la densità dei menhir e delle tombe megalitiche è direttamente in funzione del suolo o della prossimità dei materiali. Nelle zone scistose dell’ interno, per esempio, ci sono dei piccoli menhir di quarzo, e quando è presente una galleria formata da dolmen è perchè vi era un tipo di scisto più duro e meno alterato degli altri, vi si trovano spesso dei dettagli che ricordano l’arte del carpentiere, prestandosi lo scisto ad un certo taglio.

Dei casi incontestabili di trasporti possono essere geologicamente dimostrati. Il più celebre ed il più importante è senza dubbio quello di uno dei nostri più bei monumenti la Roche-aux-Fées a Essé (Ille-et-Vilaine). Il sottosuolo è di scisto precambriano molto alterato e senza resistenza. Questo edificio fu costruito in scisto porporato cambriano, di cui il più vicino affioramento si trova a 4200 m e queste rocce furono prelevate probabilmente ancora più lontano. Furono utilizzate una quarantina di lastre. Quelle della copertura sono particolarmente colossali; una mezza-dozzina di loro possono raggiungere dalle 40 alle 45 tonnellate di peso ciascuna. Un tale trasporto benché impressionante, tocca solo i margini immediati di una regione di rocce così favorevoli.

A brevi o a lunghe distanze, il processo a terra doveva essere simile; piani poco inclinati, leve ed impalcature, zeppe, cavi. Un andamento oscillante dato dalla trazione alternata delle estremità di un grande blocco, simile al passo di un granchio, permetteva di risparmiare gli sforzi del sollevamento; non si fa diversamente per spostare un mobile pesante quando non si è abbastanza numerosi. Per sistemare le lastre della copertura, il monticello da costruzione era alzato fino alla cima dei sostegni verticali. In passato si è, molto discusso per sapere se tutti questi monumenti erano all’ origine ricoperti da un monticello perchè oggi, per la maggior parte sono all’ aria aperta e non se ne vedono più che gli scheletri interni. E’probabile che siano l’erosione naturale e la coltura, quando non è il recupero della terra, la causa di questo spoglio o scarno dei monticelli di terra; a proposito dei “cairn” i loro materiali furono recuperati dai cavapietre, per l’imbrecciatura o la costruzione, compresi i muretti di cinta delle parcelle. In certi casi eccezionali il monticello o più spesso le rampe indispen­sabili alla costruzione sono stati soppressi dopo l’uso.

Se i costruttori di sepolture megalitiche costruivano per l’eternità, è evidente che dopo un certo numero di generazioni i loro discen­denti potevano non rispettare scrupolo­samente questa speranza e questa eredità, e potevano distruggere un monumento (come le grandi steli di Locmariaquer, per esempio) e riutilizzarne i materiali per altri di nuovo costruiti per l’eternità. Più spesso ancora, dei monumenti sono stati ripresi, trasformati, modificati o ingranditi; a volte avevano già bisogno di essere riparati. L’aspetto finale di un monumento può dunque essere diventato molto diverso da come era previsto in origine, come è d’altronde vero per tanti dei nostri monumenti medievali. Tuttavia nel caso di numerosi grandi monumenti complessi, come il grande “cairn di Barnenez” a Plouézoc’h si percepisce la preoccupazione di seguire lo stile architettonico di origine e di rispettarne l’estetica generale. Si tratta di monumenti di architettura, e non di ammassi di pietre.

Tra gli obblighi architettonici, può esserci quello dell’ orientamento, relativamente sensibile nel caso delle file di pietre erette. Le tombe megalitiche non hanno la loro apertura collocata secondo orientazioni molto precise. In Normandia ci sono dei cairn di sepolture raggianti. Però è più frequente vedere le nostre sepolture orientate verso l’Est o il Sud, cioè verso un terzo della rosa dei venti. La ragione è forse climatica, o forse l’apertura riguarda i paesaggi che la sepoltura comanda e protegge in modo particolare.

Furono distinte una serie di varianti architettoniche tra le tombe megalitiche, che si possono classificare più o meno artifi cialmente, in famiglie tipologiche alle quali ci siamo compiaciuti di dare dei nomi generalmente scritti male, di cui vorremmo attualmente sbarazzarci, se la pesantezza delle abitudini lo permettessero. Considerando l’insieme dei monumenti quasi simili, almeno per alcuni aspetti se ne possono trovare altrove sulla superficie del globo. Possono essere datati di qualsiasi periodo degli ultimi millenni, e dunque non sono obbligatoriamente contem­poranei e ancor meno imparentati.

In Europa, anche le sepolture megalitiche e para-megalitiche costituiscono un insieme abbastanza omogeneo del quale sarebbe illusorio cercare un’ affiliazione, una crono­logia o un ordine di diffusione di gruppo, mentre su scala locale o regionale lo si può tentare. Dei discorsi omerici si sono succeduti per sapere se i diversi gruppi regionali o i diversi tipi di megaliti europei avevano delle origini comuni o invece erano indipendenti. Un tempo era, classico consi­derare che la tradizione megalitica trovasse la sua origine in qualche parte vicino al Mediterraneo orientale per raggiungere, diffondendosi, in Mediterraneo occidentale e poi nell’Europa occidentale. I dati cronolo­gici di cui disponiamo ormai dimostrano che questo schema non può più essere conside­rato tutta la civiltà megalitica dell’ Europa occidentale era già in via di sviluppo più di 6000 anni fa e cominciò senz’altro quasi 7000 anni fa. E una creazione occidentale, si può anche dire atlantica che non è stata influenzata dall’ Oriente.

Gli “antiquari” del XVIII secolo ci hanno dato il termine “dolmen” per indicare questi monumenti (dal bretone Taol-ven, tavola di pietra), perchè quello che li impressionava era la lastra principale di copertura a volte immensa, di numerosi monumenti. Pur tenendo conto che ci sono sempre parecchie tavole e spesso quella principale è sostituita da una struttura di piccole pietre secche, il migliore impiego che si possa fare di questo termine tradizionale è di utilizzarlo global­mente per indicare qualsiasi tipo di sepoltura megalitica. Se avessero voluto prendere un termine bretone autentico quello di ha, liac’h, lia-ven, sarebbe stato preferibile, anche se la sua etimologia (abitualmente interpretata dai galli llech) lascia a desiderare.

Nel campo delle distinzioni tipologiche tradizionali, una prima fascia raggruppa i monumenti, nell’ insieme i più vecchi, che èconvenuto chiamare dolmen a corridoio, forma caratteristica composta essenzialmente da una camera circolare poligonale o quadran­golare, preceduta da un corridoio d’accesso (chiamato anche galleria o corridoio). Questo corridoio può essere corto, cioè di lunghezza uguale a quella della camera, ma può allungarsi notevolmente. Questi monumenti, quando sono isolati, sono tipicamente raccolti nei “cairn” o poggetti circolari o quadran­golari, sovente spessi ed alti. Però possono essere associati in molti, in grandi “cairn” di forme diverse secondo il tipo di giustap­posizione, fianco a fianco o a raggio.

I monumenti di questo primo gruppo sono diffusi sulle coste meridionali ed occidentali della penisola Iberica vicino a grotte artificiali dello stesso piano; li ritroviamo nel Poitou e in gran numero sul versante meridionale dell’ Armorica. Circondano così il litorale fino alla Bassa Normandia, poi li ritroviamo in nume­rose regioni ed isole dell’ Ovest et del Nord delle Isole Britanniche e dell’ Irlanda, e di nuovo nel Nord dell’ Europa, dai Paesi-Bassi alla Scandinavia. Però forme tardive di dol­men a corridoio si trovano numerose nei Pirenei, in Catalogna, in Linguadoca, in Provenza e nelle Causses in realtà sono delle sepolture del secondo gruppo.

Il secondo gruppo di monumenti riunisce delle tombe dove le strutture sono tipica­mente segnate da un allungamento della camera, o cista, spesso a scompartimento.

Sono inclusi in tumuli allungati (spesso sem­plici tumuli, bassi di costruzione e di mantenimento) che non le ricoprono ne­anche. Al tipo più specializzato, è stabilito dare il nome di viale coperto, denominazione abbastanza infelice, sapendo che alcune di queste tombe, semplici scavi in piena terra, non avrebbero avuto coperture di pietra. In Bretagna, sono esistiti solo viali coperti classici. Oltre a quelli della Bretagna, ce ne sono altri fuori dall’ Armorica, nel Centro­Ovest, nel Bacino Parigino, in Belgio, in alcune regioni Renane come la “Hesse” ed il Sud della Westfalia ed anche nel Sud della Svezia. Si apparentano ai sepolcri della Franca Contea e delle regioni vicine, con delle forme particolari che rispecchiano bene le case in uso in quello stesso periodo.

Ovviamente, numerose varietà di tombe megalitiche si lasciano difficilmente integrare nell’ una o l’altra categoria di questo schema, in verità piuttosto conte-stabile. Ci sono forme di transizione, interme­diari o ibridi, che sono interessanti. Oltre a modificazioni di tipo e di destinazione nel corso della lunga durata di utilizzo di certi monumenti si deve pensare che nel corso di questi 2500 anni di fioritura, il megalitismo èlontano da rimanere stereotipato e che anche geograficamente le varianti sono numerose.

Piccole camere funerarie avventizie posso­no innestarsi sui monumenti. Parallelamente alle tombe collettive megalitiche propria­mente dette, gruppi di cassoni in cui alcune lastre stringono un cadavere accovacciato, formano piccoli cimiteri di tombe individuali, sembra soprattutto verso la fine dell’ edifi­cazione dei viali coperti. I tumuli allungati e bassi delle regioni dell’ interno della Breta­gna (Saint-Just in Ille-et-Vilaine; Néant-sur­Yvel nel Morbihan; il Quillio nelle Cùtes­d’ Armor, vicino a Notre-Dame de Lorette) o del litorale (intorno al Manio di Carnac e dintorni, Guérande nella Loira-Atlantica) provengono da una tradizione neolitica di lunghi tumuli che si ritrovano a Nord e ad Est dell’ Europa fino alla Polonia. Tuttavia, in Armorica, tecniche di architettura megalitica hanno influenzato certe linee come la delimi­tazione del tumulo da parte di un rettangolo di piccole lastre combacianti, verticali o inclinate, in sostituzione di un sistema di pali di legno impiegato in altre regioni.

Infine, nello stesso periodo in cui si esau­risce l’impiego delle tombe megalitiche collettive e senza dubbio dopo la loro estin­zione, in Bretagna si eressero in Bretagna numerosi tumuli con camere individuali nell’ Età del Bronzo Antico e Medio. L’impronta della tecnica dell’ architettura megalitica si manifesta nella realizzazione di tombe nel suolo e non più al di sopra di esso, o di casse che possono essere costruite meno in profon­dità; si ritrova tutta la variabilità della costru­zione megalitica (lastre, a volte molto pesanti e provenienti da lontano; pareti di pietre secche) tuttavia non si devono confondere con le vere sepolture megalitiche

I DOLMEN A CORRIDOIO DELLA BRETAGNA

Prendiamo il primo gruppo, quello dei dolmen a corridoio e dei loro derivati e varianti. Sono ben rappresentati nella Charente e nel Poitou, Vendea compresa. Il litorale della Loira-Atlantica ne comprende un certo numero. A Sud della Loire, nel paese di Retz, una costellazione di monumenti notevoli circondava Pornic, fra i quali si poteva ammirare il cairn di Mousseaux, a tripli para­menti trapezoidali concentrici avvolgenti due monumenti a camere “transettate”; resti di altri monumenti di questo tipo si vedono a Clion. A Nord della Loira a Herbignac, si trova sul bordo della Brière un altro monumento a transetto, mentre monumenti più classici circondavano la Brière, ad esempio il dolmen a corridoio di Kerbourg a Saint-Lyphard. A Dissignac in Saint-Nazaire, un cairn com­plesso ricopre due bei dolmen a corridoio precoce fianco a fianco, due muretti di paramento concentrici circondavano il caim, tuttavia, più tardi furono allungati e due nuovi muretti di paramento circondarono l’amplia­mento del cairn, molto spettacolare.

Al di là dell’ estuario della Vilaine, la peni­sola di Rhuys conteneva numerose tombe megalitiche, come le isole e le rive del golfo del Morbihan. L’immenso tumulo subcir­colare di Tumiac ad Arzon fa parte di questo insieme, i suoi strati successivi di terre varie, che sono state esplorate solo in modo parziale, ricoprono con casse satelliti una grande tomba chiusa in un cairn formando un nocciolo. Con i suoi l5m. di altezza, è il tumulo neolitico più alto delle nostre regioni, conteneva un ricco mobilio funerario. Rappresenta una piccola serie di monumenti fuori serie distribuita da una parte e dall’ altra dell’ entrata del Morbihan, contemporanei del dolmen a corridoio classici, che sono testi­moni di una situazione politica e sociale particolare, o comunque di una “ricchezza” dimostrata dagli oggetti di prestigio o dai simboli del potere, come dall’ ostentazione del volume della costruzione. Altri monu­menti della stessa serie, però allungati e più bassi, si trovavano sul bordo del golfo, su dei promontori. Dal lato del mare, il complesso monumento del Petit-Mont, sempre ad Arzon, danneggiato dalla guerra, si è mostrato for­mato da diversi cairn accollati e riuniti da una serie di paramenti concentrici. Vi si trovavano due dolmen a corridoio; quello ad Oriente presentava dei sostegni adornati da numerose incisioni ed una porta con pezzi intagliati.

Le incisioni fantastiche del bel dolmen dell’ isola di Gravrinis a Larmor-Baden, ne fanno una delle meraviglie del mondo, o comunque sia, del mondo megalitico. Il suo cairn è stato oggetto di un restauro recente che ha dimo­strato che la tavola di copertura proviene da Locmariaquer e che ha anche sgombrato i paramenti della facciata. Alla fine del Neolitico, davanti all’ entrata, un massiccio d’interdizione aveva ricoperto il piazzale dove si erano tenute delle cerimonie utilizzando costruzioni esterne in legno. Si sono trovati molti percussori di quarzo che sono serviti a martellare ed a picchiettare le lastre incise. Sull’ Ile-Longue vicina, purtroppo inaccessi­bile al pubblico, un altro cairn ricopre i resti di un dolmen a corridoio lungo del quale la camera è un po’ rovinata ed è circolare con delle pareti sporgenti di pietre secche, ciò a dimostrazione che quando non c’era la possi­bilità di procurarsi una lastra di copertura di misura sufficientemente grande, si poteva uti­lizzare un’altra tecnica di costruzione. Alcune lastre verticali del corridoio sono incise con motivi interessanti.

I dolmen a corridoio sono così numerosi in questa zona del litorale del Morbihan, che non c’è da sorprendersi se i loro costruttori sono riusciti a colonizzare l’entroterra di Vannes. Alcuni monumenti sono stati costruiti, disseminati sulla spina di granito che oggi forma la zona chiamata “delle lande di Lanvaux”. Un altro piccolo gruppo di sepoltura a corridoio, distante dalla costa, si trova a Saint-Just (Jlle-et-Vilaine) con due monumenti a camera circolare, con piccole lastre verticali, che ornano le pareti di pietre secche, e un monumento con stanzini laterali. Per alcuni, le relazioni con la costa sono potute avvenire attraverso le valli della Vilaine e dell’ Oust. Per gli altri, le relazioni sono state influenzate dalla prossimità del Morbihan. I due cairn giustapposti di Larcuste a Colpo sono particolarmente interessanti perchè gli scavi sono recenti il cairn I contiene due dol­men a corridoio classici, ed è circondato da un doppio paramento; mentre il cairn Il contiene un corridoio centrale con stanzette laterali.

Tra l’entrata del golfo del Morbihan ed il fiume Etel, si trova la più importante concen­trazione di dolmen a corridoio. Molto densa intorno alla regione di Locmariaquer, Carnac e Quiberon (un libro di questa serie è stato loro specialmente consacrato), questa specie di “necropoli” diffusa ha potuto raggruppare diverse centinaia di tombe di una certa varietà tra le quali un centinaio sono state conservate.

Il suolo delle camere dei dolmen di questa regione e quello dei corridoi è spesso pavimen­tato. Sulla carta, delle variazioni importanti sono possibili la creazione di camere laterali sul corridoio e talvolta delle celle nella camera. Il caso più estremo è quello dei dolmen “a gomito” o “in squadra” che sono dei monumenti asimmetrici, nei quali la camera si è sviluppata perpendicolarmente al corridoio. (Alle Pierres Plates di Locmariaquer, l’angolo è ottuso, dando posto ad un piccolo diverticolo supplementare).

Talvolta, diversi dolmen a corridoio sono associati nello stesso cairn o lo stesso tumulo. Più spesso, due, tre o più monumenti si incon­trano a poca distanza gli uni dagli altri. In generale, i dolmen a corridoio di questa regione sono sistemati sulla cima di piccole colline o alture arrotondate, formando piccoli noccioli in questo vasto cimitero discontinuo.

In questa classica regione del Morbihan in particolare, i sostegni dei dolmen possono essere adornati da incisioni sulle facce interne delle lastre meglio erette. Figure di accette levigate con manico o senza, di bastoni, sono incise cosicchè numerosi arabeschi indecifrabili tra i quali il segno "U" è il più semplice. Tutta­via un gran numero di queste raffigurazioni sembrano somigliare a sagome o parti di corpi umani molto schematizzati. Sia che la testa sia ridotta ad una specie di “marmitta” o ~‘stemma” dove le anse rappresentano le orecchie con i capelli a spazzola, o che l’individuo intero compaia, o solo i piedi o un’ altra parte del corpo, è verosimile che siano delle forme diverse dalla divinità protettrice la più fre­quente delle tombe megalitiche, di sesso non determinato in questa fase. Spesso la lastra di supporto con il suo contorno forma un cartiglio o più raramente una sagoma sommariamente antropomorfa. Tra tanti altri dolmen, quello di Kercado a Carnac, che conserva il suo tumulo, presenta dei begli ornamenti di questo tipo, come uno del trio di Mané-Kerioned.

I dolmen a corridoio di Locmanaquer men­tano una menzione particolare. In questo luogo furono prima edificati grandi menhir o stele, con incisioni dello stesso tipo su una facciata meglio eretta. In seguito, certe stele furono abbattute e fatte a pezzi da un’ altra genera­zione (il grande menhir spezzato fa parte di questa serie, come si è visto) ed i frammenti furono riutilizzati come tavole di copertura per le camere di dolmen a corridoio prestigiosi. In effetti, i frammenti della stele incisa che copre la ‘~Table des Marchand”, della quale si può vedere sulla faccia interna una accetta-aratro, un bastone ed i piedi di un quadrupedo, si collegano esattamente al frammento che serve da copertura alla camera di Gavrinis sulla cui facciata superiore non visibile, ci sono dei quadrupedi con le corna ed un’altra accetta-aratro; la lastra del capezzale della stessa ‘~Tables des Marchand” è conosciuta per la sua forma di stemma che contiene dei registri di bastoni con il manico incurvato, in rilievo. Il dolmen di Mané-Rutual, con camera ed anticamera è ricoperto da un frammento di stele inciso di un enorme motivo a stemma, motivo che sarebbe invisibile se non ci fosse un artificio della presentazione moderna. Il monumento a gomito delle Pierres-Plates presenta, forse, il più bell’ insieme di lastre incise di stile diverso.

A Locmariaquer si ritrovano gli enormi tumuli con tombe chiuse contenenti una grande ricchezza in mobili, di certo, sono sepolture di persone importanti. Il Mané-er­Hroèk è un cairn circolare, le pietre della sua copertura sono ancora dei frammenti di stele; un altro piccolo frammento, eccezionalmente inciso, trovato nell’ involucro esterno della camera come una volgare pietra di reimpiego, è oggi esposta nella tomba presso l’accesso artificiale che si è sistemato. Però questi enormi tumuli possono essere prolungati ed includere alla loro estremità un dolmen a corridoio; c’è un’ associazione della tomba chiusa e della camera comunicante col mondo dei vivi. È il caso del Mané-Lud a Locma­riaquer ed a Carnac; dei monumenti del Moustoir e di Saint-Michel. In quest’ultimo, la tomba centrale è circondata da cassoni satelliti.

I monumenti che sussistono vicino alla riva Ovest del Morbihan (compresa l’isola di Groix) sono relativamente semplici ma ne sono esistiti altri, più complessi, che sono stati distrutti. Vicino a Port-Louis, il villaggio di Gavres possiede un bellissimo dolmen a forma di squadra, sotto il suo tumulo. Nella congiun­zione del corridoio e della camera (che èsuddivisa incompletamente in quattro compar­timenti) una grande lastra mobile serviva da “porta”. Notiamo che sulla riva sinistra del fiume di Auray, il dolmen a squadra del Rocher al Bono conserva anche il suo tumulo.

I dolmen a corridoio nel Sud del Finistère, sono stati duramente devastati fin dall’ ultimo secolo; erano particolarmente numerosi nel Pays Bigouden (regione di Pont-L’Abbé e di Penmarc’h) che costituiva un’ altra metropoli megalitica tanto importante quanto la regione di Carnac. Fra l’Ellé e l’Odet, i dolmen a com­doio rimanenti sono rari. Si devono tuttavia segnalare i monumenti associati di Kerléven a La Forèt-Fouesnant (nel campeggio Saint-Laurent), che presentano delle camere suddivise in compartimenti. I gruppi di monumenti con camere suddivise in compar­timenti, sono stati numerosi fino alla regione della Pointe du Raz, per la maggior parte sono gravemente danneggiati, come quelli della punta del Souc’h a Plouhinec; il più beh’ esempio rimanente è quello di Quélarn a Plobannalec che comprende i resti incompleti di sei dolmen a camere suddivise in compar­timenti. In cima alla punta della Torche si trova un dolmen a compartimentazione semplificata, ulteriormente modificato da un allungamento del corridoio.

In questo paese “bigouden”, anche il dolmen a T del Poulguen a Penmarc’h, conserva una parte del suo tumulo e, ricorda con le sue incisioni, gli ornamenti dei monumenti a squadra del Morbihan. Il dolmen a T del Kerugou è spoglio. Il dolmen di Run-Aour in Plomeur (ricostituito approssimativamente vicino al Museo Preistorico a Penmarc’h), sembra che fosse costituito da due corridoi a squadra e da una camera di pietre secche alla fine della confluenza; era una specie d’ibrido.

Nel Cap-Sizun, non rimangono più dolmen importanti visibili; e quelli della penisola di Crozon (per esempio Rostudel vicino al Cap de la Chèvre) e ai fianchi del Menez-Hom ri­mangono molto semplici, avendo perso il loro corridoio. All’ interno del centro del Finistère, alcuni rari monumenti mostrano delle penetrazioni localizzate, come a Saint­Thois un cairn con due dolmen di cui uno a camera doppia. Il bel dolmen a V di Ty-ar­Boudiquet a Brennilis, senza la separazione del corridoio con la camera, è l’inizio di un ritorno ad una forma più semplice che porterà ai viali coperti.

I dolmen a corridoio sono stati molto più numerosi lungo le vie dell’ Iroise e della Manica di quanto ancora si poteva credere fino a qualche tempo fa. Se ne trova una dissemina discontinua vicino ai luoghi di sbarco di audaci navigatori, il più delle volte sugli isolotti o sulle penisole. Però in quell’ epoca il livello del mare era più basso, una parte si trovava già sul continente. Non era tuttavia il caso delle isole dell’ arcipelago di Molène, dove c’erano numerosi piccoli dolmen. Le forme con copertura in aggetti erano particolarmente numerose. Spesso rimanevano soltanto alcuni falsi-sostegni che giocavano un ruolo piuttosto decorativo essendo placcate sul davanti con muri in pietra secca, e questi ultimi resti di monumenti esistono solo in posti difficilmente accessibili. Il fatto è che la zona ortiva di Haut-Léon come la zona dei raccoglitori di alghe di Bas­Léon hanno fatto molti danni.

Il cairn dell’ isola Carn a Ploudalmézeau comandava all’ epoca della sua costruzione un’ entroterra fertile, paesaggio oggi sommer­so e spoglio. Allo stato iniziale aveva una forma trapezoidale e conteneva fianco a fianco tre dolmen a corridoio corto con delle camere a copertura aggettata di piastrelle granitiche e quella centrale è ancora intatta, mentre le altre sono state restaurate dopo gli scavi recenti. Dopo il periodo di utilizzo, grandi massi di chiusura furono accumulati davanti e dietro il cairn iniziale e il tutto fu recintato da un muro di paramento circolare. Per la presentazione del luogo, fu abbassato il masso di chiusura frontale in modo da sgombrare le entrate dei tre dolmen. L’isoletta Guennoc di fronte a Landéda, all’ epoca, comandava pure un ten-i­tono oggi sommerso dalle acque marine. Sulla sua cima tre cairn principali comprendevano tre dolmen a corridoio corto per due di loro e sette per il più importante, di forma nettamente trapezoidale, ma con un allungamento contro la base larga, incluendo due tombe capovolte, dunque una con un orientamento contrario a quello di tutte le altre. Non lontano di là, al limite delle basse maree attuali, l’isoletta di Roc’h-Avel, mostra gli ultimi resti di un dol­men a corridoio di pietre secche intaccate dalle onde, questo dimostra che la scelta dei punti elevati del territorio può essere molto relativo.

Sgombrati dai franamenti provenienti dalla rovina delle loro superstrutture, questi cairn tra­pezoidali complessi mostrano delle facciate monumentali. Davanti a queste facciate, dei sagrati limitati, ossia degli spiazzi, avevano un ruolo cerimoniale. Da questo punto di vista, come per tutto quello che concerne l’archi­tettura megalitica, una dimostrazione esem­plare è data dallo straordinario cairn di Barnenez, sulla cima della penisola di Kernéléhen a Plouézoc’h, a strapiombo sui bassi territori ancora emersi durante la sua costruzione, della baia di Morlaix. Lungo 75 metri, largo dai 20 ai 25 metri, alto dai 6 agli 8 metri, si compone di una doppia serie di cinque poi sei ossia undici dolmen con lunghi corridoi gli uni vicini agli altri, essendo, ogni monumento, leggermente diverso da quello vicino. Vi si trovano nove camere di pietre secche con una volta in falsa cupola che poggia o meno su dei sostegni i corridoi possono essere con pareti sia di lastre, sia di pietre secche, però sempre con una copertura di tavole. Inserito tra i precedenti, c’è anche un dolmen più classico fatto interamente di lastre ed un altro che ha un’ anticamera con una copertura in falsa cupola poggiata su dei so­stegni. Tre di questi monumenti presentano delle lastre incise, però, per una si tratta di una pietra di reimpiego. Una piccola zona del sagrato frontale ha fornito numerose terrecotte.

Nella zona ortiva, il dolmen a T di Kerivin a Sud di Saint-Pol-de-Léon è un superstite interessante, tanto più che nello stesso comune, il bel monumento della Bamère di Keravel non è sopravvissuto.

Le Coste d’Armor ci offrono gli ultimi esempi di dolmen (Sette Isole nell’ isola Bono; una camera ornata da falsi sostegni il cui corridoio è sparito, doveva avere una struttura in aggetto; comunque anche il monumento di Tossen-ar-Run a Yvias, del quale vediamo solo l’imponente tumulo su un punto alto dell’ altopiano, scavato all’ inizio del secolo, ha mostrato una uguale struttura di pietre secche). A Pléneuf, su una cresta, tre camere ornate da falsi sostegni in un piccolo cairn dello stesso tipo presso La Villa-P, ai giorni nostri sono molto rovinate. A Erquy, il dolmen di La Ville­Hamon, di arenaria rosa come le pietre del suo cairn, il che implica un certo trasporto di materiale, è diventato quasi un ricordo. Molti altri dolmen a corridoio sono scomparsi da queste rive.

Esiste un raggruppamento importante, ed addirittura imponente, di sepolture megalitiche di questo tipo, nelle isole Anglo-Normande (la Sergenté a Jersey è ancora un resto di sepoltura a copertura di pietre secche; però, la Houge­Bie, nella stessa isola, e il Dehus a Guernesey, sono giustamente famosi. Ricordiamo anche i monumenti di piastrelle calcaree della Bassa-Normandia, tutti al confine del Giura nel Massiccio Armoricano. A Vierville (Manica)) si tratta di monumenti molto rovinati; tuttavia, a Fontenay-le-Marmion (Calvados), vicino a Caen, il cairn della Hoguette riunisce sette sepolture disposte quasi a raggio, mentre quello della Hogue, ancora più stupendo, riunisce una dozzina di tombe in una configurazione simile. Sono i più orientali dei dolmen a corridoio del gruppo atlantico e ci hanno rivelato dei dati radiocarbonio altrettanto precoci di quelli del Poitou e della Bretagna, il che dimostra, non tenendo conto delle piccole variazioni regionali spesso dovute ai materiali disponibili, la grande unità di questo insieme

I MODELLI INTERMEDIARI E I VIALI COPERTI DELLA BRETAGNA

Un piccolo gruppo di costruzioni megalitiche particolari, dell’ Est della Bretagna, sembra imparentato con vasti monumenti del bacino della Loira e delle province vicine. Questi edifici spesso giganteschi non hanno necessa­riamente funzioni funebri ed è delicato attri­buirli all’ uno o all’ altro dei primi gruppi di dolmen. La celebre Roche-aux-Fées di Essé (Ille et Vilaine) ne è il migliore esempio. Questo bel megalite è composto da un’entrata monumentale in portico, seguito da un vesti­bolo o corridoio col soffitto basso, poi da una vasta camera molto alta, suddivisa in quattro da pilastri trasversali e laterali. Si penserebbe volentieri ad un vero tempio, in ogni caso, c’è nell’ architettura un riflesso evidente delle costruzioni di abitazioni di grandi dimensioni. Il monumento detto “La Tablette” a Cournon (Morbihan) sembra un frammento dello stesso tipo. I principi dell’ architettura megalitica possono anche essere stati applicati con un’ altra destinazione.

Abbiamo già incontrato, con Ty-ar-­Boudiquet a Brennilis, un dolmen a V in via di ritorno ad una forma più semplice, senza separazione tra il corridoio e la camera propriamente detta. Un altro monumento simile è il n°1 dell’ insieme del Lisais a Laniscat (Còtes d’Armor) ugualmente sito quindi all’ interno del paese; è in posizione culminante rispetto ai due altri monumenti che sono dei viali coperti classici, cioè con camera allungata, con entrata in estremità alle pareti parallele e senza variazioni d’altezza sotto le tavole di copertura. Esistono alcuni resti di monumenti intermediari tra le due categorie che dimostrano che i viali coperti armoncani possono benissimo derivare dalla tradizione dei dolmen a corridoio, almeno per quanto riguarda l’architettura. Anche i dati cronologici sono nettamente a favore di questa derivazione.

Però c’è un’altra filiera di derivazione che va dalle sepolture a squadra ai viali con entrata laterale. In questa interessante cate­goria di monumenti, la camera, allungata come in un viale coperto, è preceduta da un corto corridoio perpendicolare all’ asse del monumento. Un bell’ esempio è il monu­mento di Crec’h-Quillé a Saint-Quay-Perros (Coste d’Armor). Benché abbia perso tutte le sue tavole di copertura, ha conservato il suo tumulo, il cui bordo è ornato da piccole lastre verticali intercalate con della muratura secca. L’entrata laterale è molto ben segnata e di fronte ad essa, uno dei pilastri porta due protuberanze formando il paio di seni della dea protettrice dei morti sovrastano una collana. A Kerguintuil a Trégastel, non lontano da lì, non resta che la camera protetta da un ciglione con sui tre sostegni giuntivi, nove paia di seni fianco a fianco con una fila di collane distinte ed alcuni altri motivi.

Altri monumenti di questa categoria, sono quelli di Saint-Just (Ille-et-Vilaine) abbastanza rovinati a Tréal; il Four-Sarrazin che conser­vano delle lastre che limitano il suo tumulo, che fanno pensare alle strutture simili di altri piccoli monumenti senza camere megalitiche vicine, come se ci fosse un’ influenza reciproca delle due tradizioni funerarie. Possiamo anche segnalare i monumenti di Lestriguiou a Plomeur (Fiiìistère) e nelle Còtes d’ Armor, la Roche-Camio a Pledran ed il Champ-Grosset a Quessoy. A volte ci sono oblò delle lastre forate che fanno da oblò alla separazione tra entrata laterale e camera, come Coèt-Correc a Mur-de-Bretagne (Coste d’Armor) e lastre uguali sono state viste un tempo nei monumenti di Kerlescan e di Kerléarec a Carnac, quest’ ultimo adesso totalmente scomparso. In un caso, al Mélus vicino a Loguivy-de-la-Mer a Ploubazlanec (Coste d’Armor), l’entrata laterale è sovrastata da una piccola lastra-architrave.

Però questi viali con entrata laterale sono contemporanei ai viali coperti propriamente detti e ci sono molte interferenze tra le due categorie. Le une e le altre non manifestano più una predilezione per le cime. La ripartizione dei viali coperti è molto più generalizzata in Bretagna. Se ne esistono altrettanti nell’ interno che presso il litorale, la frequenza diminuisce verso l’Est della Bretagna. Si tratta quasi sempre di viali coperti di forma abbastanza classica. Il tumulo di costruzione, rettangolare, è delimitato quando esiste ancora, da piccole lastre verticali che formano un bordo (per i dolmen a V come per i viali coperti lI e III di Liscuis a Laniscat (Coste d’Armor). L’entrata si trova ad una delle estremità. Però, quando i monumenti sono in buono stato, mostrano spesso una parete trasversale interna, che può essere formata da uno o più sostegni traversi, che separano due camere di diversa lunghezza. Se queste parti sono completamente separate, può capitare che la piccola camera non abbia entrata o appena un interstizio; gli esempi sono numerosi (La Cappella, il Lobo a Caro, il Net à Saint-Gildas-de-Rhuys, questo per il Morbihan; - Kermeur-Bihan e Kerandrèze a Moèlan-sur-Mer, Kernic a Plouescat, il Mougau a Commana, Luzuen a Nizon, Keriou a Gouezec, questo per il Finistère ed anche Prajou-Menhir a Trébeurden nelle Coste d’Armor; e La Casa-ès-Feins a Tressé nell’ Ille-et-Vilaine). I viali senza suddivisione apparente sono numerosi (per esempio la Ville­Genouan a Créhen, La Ville-Bellanger a Henansal; la Couette e il Bourg a Ploufragan, questo per rimanere nelle Coste d’Armor). Talvolta camere ed anticamere comunicano tramite uno spazio aperto tra due sostegni, o attraverso dei fori fatti in questi ultimi; si tratta allora di derivati di lastre-oblò di altre regioni (Toul-an-Urs a Duault, i Liscuis Il e III a Laniscat (Coste d’Armor).

I sostegni laterali talvolta sono composti da due file di lastre verticali esterne, distinte dall’ orlo del tumulo di costruzione (Isola Grande, Coste d’Armor come monumenti a camere apparentemente uniche; tra i monumenti a separazione il Cosquer a Goulven, il Guilliguy a Ploudalmézeau, Kerbannalec a Beuzec-Cap-Sizun nel Finistère). Però una categoria particolare è costituita dai viali mar­eati in cui i pilastri poggiano gli uni sugli altri. A Coat-Ménez a Melgven, sussistono tuttavia tre grandi tavole di copertura. Mentre a Lesconil a Poullan-sur-Mer, a Goulet-Riec a Riec-sur-Belon, come a Castel-Ruffel a Saint­Goazec nel Finistère, non ci sono più tracce di tavole di copertura orizzontali e possiamo dubitare che siano mai esistite.

L’entrata può essere ristretta (L’fle-à-Poule a Kerbors nelle Coste d’Annor e diversi monu­menti già citati Lesconil, il Mougau, Kerban­nalec, l’Ile-Grande) ed essere fatta attraverso una facciata diritta, nell’ orlo del tumulo.

È lo stesso per alcuni viali con entrata laterale, alcuni viali coperti presentano delle lastre incise o scolpite in rilievo. La dea femminile protettrice dei morti vi si ritrova nello stesso stato di schematizzazione, sotto forma di paia di seni in rilievo, spesso associate (a Tressé, Ille et Vilaine, due cartigli comprendenti ognuno due paia di seni; a Commana, due paia in due posti assai decentrati a Prajou-Menhir a Trébeurden, un cartiglio con due paia di seni e su un’altra lastra, un paio di seni con una collana). A Tressé come a Trebeurden, queste rappresenta­zioni si trovano nella cellula completamente separata dalla camera. Inoltre si distinguono su queste lastre delle incisioni più enigmatiche, che una volta si è pensato, fossero delle armi di rame o di bronzo, ma che potrebbero raffigu­rare qualsiasi altro oggetto a manico stretto, sono stati anche suggeriti dei funghi (Prajour­Menhir, sempre nella cellula; il Mougau a Commana invece sulle pareti della lunga camera. Da notare anche che al Mougau, una bella rappresentazione in rilievo di un’ascia di pietra con manico ed a Prajou-Menhir dei rettangoli che fanno pensare a quelli dei menhir di Saint-Samson; nei due ultimi monumenti queste rappresentazioni fuori serie si trovano su dei pilastri che separano completamente la camera della cellula.

I RUOLI DELLE TOMBE MEGALITICHE

Dopo avere descritto i diversi tipi di tombe megalitiche e la loro ripartizione in Bretagna, èopportuno illustrare bene la loro destinazione funeraria fondamentale alla quale si sono potute aggiungere, in casi particolari, delle funzioni complementari o derivate come delle variazioni della qualità e quantità dei morti che vi erano preservati. Gli studiosi delle civiltà celtiche di un secolo e mezzo o due secoli fa, immaginavano che fossero degli “altari di druidi” o delle “pietre da-sacrificio-con canaletti-per-fare-scorrere-il-sangue” ed akune di queste stranezze vengono ancora prese in considerazione da un certo pubblico. Il carattere sepolcrale fu dimostrato ogni volta che un monumento vergine fu oggetto di uno scavo scientifico da parte di un archeologo serio. Quando le condizioni chimiche lo permettono (suolo e sottosuolo non acidi, con preferenza il ambiente calcareo,condizione che non succede quasi mai in Bretagna, dove i fosfati delle ossa finiscono per essere consumati nel corso dei milleni), trovano, spesso in grandi quantità delle ossa umane dell’epoca neolitica. I dolmen e soprattutto i viali coperti si presentano allora come degli ossari. Nei dolmen a corridoio del Poitou e della Normandia, situati sui margini calcarei del Giura, si trovano le ossa di quindici o venticinque persone in media. Nei viali coperti del Bacino di Parigi e gli ipogei della stessa epoca, sono stati trovati gli ossami accumulati di duecento persone. Queste ossa sono veramente dell’ epoca dei monumenti e non delle introduzioni successive come dimostrato dalla dose di radiocarbone riscontrato. Precisamente una parte delle date precoci dei dolmen del Poitou e della Normandia furono ottenute dalle ossa. In Bretagna, dei dolmen a corridoio di Quiberon e Saint-Pierre di Quibron sotterrati sotto delle dune di sabbia calcarea, si sono rivelati pieni di ossami; lo stesso vale per la cameretta del dolmen di La Torche, e il fondo della camera di quello di Roc’h-Avel. In altri casi, quando la disposizione della copertura era ad ombrello e deviava le acque piovane, sono rimasti dei frammenti di ossacome per esempio a Barnenez. A Saint-Thois, sono numerosi i frammenti che rimasero conservati, tra cui lunghe ossa raccolte in fasci.

La quantità degli ossami che sono rimasti conservati, quando lo sono, mostra che le tombe megalitiche erano collettive, nel senso che hanno riunito successivamente i resti di dozzine ed anche di centinaia di persone, a seconda dei periodi, come abbiamo potuto vedere. Per certi monumenti, si è potuto continuare ad usufruire dell’uso per lunghi periodi, parecchi secoli ed a volta un millennio e mezzo dopo la loro costruzione. Erano tombe comuni per un unico dan, un paesino o una famiglia, però non si ponevano tutti i morti della comunità, dovevano esserci dei criteri di scelta. In molti casi le inumazioni più recenti sono in connessione anatomica può esserne il caso quando ci sono stati pochi seppellimenti, il più spesso nella posizione ripiegati su sé stessi; le reliquie anteriori, per fare spazio, possono essere raccolte alla rinfusa nel fondo, oppure sistemate secondo una certa organizzazione. Le tombe megalitiche sono state a volte solo ossari una volta searne, le ossa sono state ammas­sate, come è stato dimostrato per quache caso nel Nord Europa. Ci sono tuttavia dei casi incontestabili di cremazione (specialmente in Irlanda) e forse per alcuni dei grandi tumuli a tombe chiuse del Morbihan. Infine, talvolta sono state associate o annesse ai monumenti collettivi delle tombe individuali in piccoli cassoni.

Almeno per quanto riguarda certe tombe megalitiche delle Isole Britanniche e della Scandinavia, fu dimostrato che il culto dei morti comprendeva in alcune occasioni, esibizioni macabre con le ossa degli antenati, come a volte di defunti in corso di decompo­sizione, reliquie che poi erano ricollocate al loro posto in un angolo della sepoltura. Per la loro funzione di integrazione sociale, le sepolture aperte permettendo la comunicazione permanente con i morti del gruppo sociale, erano costruite tanto per i vivi che per i defunti.

Un monumento intatto racchiude quasi sempre dei mobili, in numero tuttavia molto diverso e quindi i caratteri e la disposizione conducono a considerarli come “mobili fune-rari” rituali.
Questo mobilio funerario ci forni­sce per la maggior-parte delle indicazioni che abbiamo sulle tecniche ed il tipo di vita dei co­struttori di megaliti, però è troppo vario nel tempo e nello spazio per poter essere, lungamente trattato.

Questo mobilio contiene sia utensili dome­stici che agricoli, delle armi o dei simboli di po­tere; sia oggetti di parure che di puro orna­mento; sia oggetti rituali che viveri. Così dei pezzi di carne di cui rimangono tutt’ al più gli ossi, dei vasi pieni di grano, a volte carbonizzati o di bibite, senza dubbio acqua, birra o idromele di cui non rimane niente. Tutto questo prova che i defunti erano provvisti per il grande viaggio con più di uno spuntino a titolo simbolico. Il fatto che numerosi oggetti, anche preziosi o prestigiosi, siano stati rotti, sia volontariamente nel momento del loro deposito, sia seconda­riamente durante lo “spazzare” nelle camere funerarie per fare posto a nuove inumazione, sia accidentalmente (nella penombra delle camere, anche con una torcia, non si vedeva molto) sembra dimostrare che erano puramente rituali. Però, nel momento in cui venivano prelevate le ossa per delle cerimonie esterne, si prelevavano forse anche dei frammenti di oggetti. Infine si deve sempre tenere conto che le materie deperibili come gli oggetti di legno, di osso, di pelle, di tessuto e di fibre o ancora le pellicce, sono generalmente scomparsi.

Abbiamo già fatto allusione alle zone particolari delle facciate monumentali che costituiscono dei piccoli sagrati o degli spazi dove degli accumuli di detriti di terracotta, tra altri oggetti, testimoniano la pratica di cerimonie periodiche esterne (per esempio a Larcuste a Gavrinis, a Carn oppure a Barnenez, tra altri casi evidenti). Ovviamente potrebbe trattarsi di manifestazioni del “giorno dei morti” ma è ancora più probabile che sia l’indice di altre funzioni degli edifici megalitici, i più prestigiosi. Una funzione d’integrazione sociale di tutta la comunità dove il culto degli antenati sarebbe stato solo un elemento legato alla loro consultazione come oracoli, prolungato dalla loro costruzione in posizione dominante rispetto al territorio utilizzato. In qualche modo, questi monumenti sarebbero stati non solo case di antenati, templi, ma anche case comuni o specie di “municipio” oppure di “scuole” se la preparazione e l’iniziazione di giovani adolescenti vi si sviluppava intorno...

LA SOCIETÀ DI COSTRUTTORI DI MEGALITI

In principio, le società neolitiche sono considerate dai preistorici che si avventurano in speculazioni sociologiche, come delle società relativamente egualitarie. Certo, le diverse comunità geograficamente disperse non disponevano delle stesse risorse econo­miche, senza che questo creasse fra comunità vicine dei legami di dipendenza, sempli­cemente dei legami di parentela più, partico­larmente nel caso di esogamia sistematica e di scambio.In maniera sporadica, possono essersi sviluppati delle concorrenze e dei conflitti. E per questo che si pensa che nelle società neolitiche, soprattutto in casi di pressione demografiche e di concorrenza per le zone fertili, la perdita dell’ innocenza ha potuto degenerare nei primi combattimenti guerrieri, superando le semplici risse che si sono potute registrare in tutti i tempi.

Tuttavia, le sepolture megalitiche, con la loro dismisura, il loro impiego solo per una parte delle popolazioni, e la diversità del mobilio funerario di alcune di esse, pongono il problema di un inizio di stratificazione sociale; come quello di sapere se questa gerarchia nascente è il risultato dei fenomeni che hanno provocato queste sepolture fuori serie, ed altri effetti che non possiamo intravvedere così chiaramente. Si tende precisamente a pensare che se il megalitismo ènato e si è sviluppato lungo le rive atlantiche, è sotto la pressione di fattori tali da obbligarlo ad una sedentarizzazione più spinta che implica il legame ad un territorio determinato, sotto la protezione degli antenati. Alla scoperta di nuove tecniche, al loro adeguamento, alle risorse particolari di ogni territorio, si è anche accompagnato lo sviluppo del saper fare di alcuni, meglio dotati per la trasformazione e la messa in opera di grandi pietre. Senza considerare lo sviluppo di una casta di sacerdoti-ingegneri, come alcuni hanno suggerito, il prestigio come incentivo di lavoro di alcuni, ha potuto sviluppare la tendenza alla gerarchizzazione nata dai legami di dipendenza verso il territorio.

Con i documenti archeologici forniti dai monumenti megalitici come dagli abitanti e dai siti di attività tecniche loro legati, e completando la tabella con dati sincronici accertati in altre regioni, per popolazioni comparabili; possiamo provare a sintetizzare i concetti che abbiamo sul livello culturale dei costruttori di megaliti. Si tratta di una vera civiltà che comporta non solo delle strutture sociali che iniziavano a gerarchizzarsi, ma anche un inizio di specializzazione del lavoro. La produzione di cibo in maggior quantità ha progressivamente reso gli uomini di questa società, tranne che nei momenti di carestia inevitabili durante le cattive annate, più indipendenti dalle fluttuazioni naturali minori e permise un notevole progresso demografico, implicando il dissodamento di nuovi spazi nell’ interno della penisola, oltre alle regioni costiere più attraenti all’ inizio del Neolitico.

LA CIVILTÀ MEGALITICA È UNA CIVILTÀ NEOLITICA

Malgrado la loro ripartizione relativamente ristretta ai margini atlantici dell’ Europa, con riflessi attenuati o momentanei nelle regioni vicine, le costruzioni e le pietre megalitiche non sono altro che mutamenti singolari delle civiltà neolitiche europee, dalle quali procedono per quanto riguarda la loro cultura materiale, ma anche certamente della loro società, le loro credenze e le loro ideologie delle quali ci danno dei riflessi particolari o delle varianti regionali. Per farci un’ idea del livello di cultura materiale e tecnico dei costruttori di megaliti, dobbiamo basarci su documenti associati a questi monumenti, ma anche completare la tabella degli avvenimenti sincronici accertati in altre regioni dello stesso livello di vita e comparabile quanto possibile, tenendo conto delle diverse risorse naturali, tra cui quelle del clima. Per mancanza di ambienti di conservazione favorevoli, ad esempio, non ci è rimasto quasi niente nelle nostre regioni, come oggetti di materie vegetali, legno, articoli di vimini, tessili. Sono necessarie sia condi­zioni di aridità desertica (fuori questione), sia ambienti umidi (laghi, paludi permanenti, torbiera) tali quelli dei depositi lacustri alpini e pre-alpini, oppure, ad esempio, delle torbiere delle Isole Britanniche (i Somerset Levels essendo le più vicine). Con le precauzioni necessarie, è legittimo trasportarne gli acquisti nelle nostre regioni.

La maggiore produzione di cibo, il miglio­ramento della sua sistemazione e della sua conservazione avevano reso gli uomini più indipendenti dalle fluttuazioni naturali e con la sedentarizzazione avevano permesso una notevole progressione demografica. La popolazione della Bretagna verso la metà o la fine del Neolitico poteva raggiungere un centinaio di migliaia di abitanti. Tuttavia una popolazione più densa e concentrata in villaggi era più sensibile alla propagazione delle malattie microbiche e virali, cosicchè il cambiamento di regime alimentare aveva i suoi inconvenienti (il consumo di cereali, dunque di zuccheri, si nota dall’ aumento di carie dentarie).

L’Armorica si trova nella regione di conver­genza delle due principali correnti di diffu­sione e di estensione dei tipi di vita neolitica, la corrente mediterranea e la corrente detta “danubiana” (cioè che risale il Nord delle Alpi, dai Balcani al Bacino Parigino; gli studiosi francesi della preistoria preferiscono spesso il termine di “Rubannés” per indicare una variante occidentale della “B andkeramik”, la ceramica di questi gruppi, però il termine “danubiano”, più generale, permette di indicare in modo globale anche le numerose fisionomie antiquate.

Tranne che per utilizzazioni di rifugi rocciosi naturali, le abitazioni della pianura della corrente meridionale favoriscono delle costru­zioni relativamente piccole, su una imbreccia­tura curata e le cui superstrutture sono poco conosciute le più recenti favoriscono delle capanne delimitate da muretti di pietre secche. La corrente Nord europea preferisce le grandi case familiari con armature di legno e pareti di graticcio placcate di argilla e paglia.

È così che il Sud della Bretagna sembra avere favorito degli ambienti sotto forma di villaggi abbastanza importanti, a volte su piccole alture leggermente trincerate con case e capanne dai basamenti di pietre tuttora poco conosciute (il campo de Lizio in Carnac; il pro­montorio di Croh-Collé a Saint-Pierre­Quiberon, Morbihan). Ai limiti meridionali della Bretagna, il campo delle Prises a Mache­coul (Loira-Atlantica), situato sul calcare, ha mostrato in una fase già avanzata del Neolitico, dei fossi concentrici e interrotti con buchi di pali sia da abitazioni, sia da altre palizzate.

I primi habitat ritrovati segnatamente su vecchi suoli oggi ricoperti dal mare, sul litorale della Manica, si trovavano sull’ orlo di depressioni litorali paludosi ed erano composti in gran parte da case con armature di legno e pareti di graticcio. Non si sa se le loro dimen­sioni erano grandi come quelle di tradizione “danubiana” conosciute fino al Bacino Parigino (ad esempio la valle dell’ Aisne). Le forme trapezoidali di ‘molti cairn megalitici farebbero pensare che le case, almeno quelle comuni, tendessero verso questo tipo di piantina. Queste abitazioni potevano essere confortevoli e se intrattenute bene, avere una durata media che variava dai venticinque ai trenta anni.

L’attrezzatura agricola comportava arnesi individuali come in primo luogo le asce di pietra levigata, che servivano a dissodare i boschi, con un manico adatto avevano la funzione di marra, le grandi asce-levigate che potevano servire per il taglio o come vomere per gli aratri primitivi in pietra intagliata (poco sviluppati in Bretagna), dei picconi in legno di cervo, delle pale realizzate con scapole di bovini, falcette formate da una o più lame di selce giustapposte in un telaio di legno o di osso; infine arnesi diversi, bastoni per scavare ad esempio, in legno, che si consumavano velocemente, però facili da sostituire. L’agricoltura praticata in piccoli giardini, comprendeva non solo la produzione di cereali (orzo, grano, miglio; dal grano bruciato possiamo determinarne le varietà) consumati sotto forma di focacce o di pane o anc ara di pappa; bevuti sotto forma di cervo ~ia, ma anche di alcuni legumi più semplici. La raccolta di erbe, bacche e frutti n~ turali completava queste risorse. Si poteva iniziare a sfruttare il lino, pianta naturale, per farne delle reti oppure dei vestiti. Delle macine dormienti e dei rulli di pietra servivano a schiacciare il grano (chicco) ed a macinare anche altre specie di alimenti vegetali.

L’addomesticamento degli animali, concer­neva le specie bovine, ovine e porcine di cui si consumavano il latte e la carne e si utilizza­vano anche la pelle e le corna. Ricordiamo le rappresentazioni della ‘~Table-des-Marchand”, “Gavrinis” e Saint-Samson. Il cane è un antico commensale dell’ uomo, la caccia continuava certo a giocare un ruolo importante e le diverse armature di freccie testimoniano quell’epoca con i piccoli animali.

Tra le tecniche domestiche la filatura della lana degli ovini si rivela, almeno a partire dalla fine del Neolitico, dalle bilance a contrappeso che servivano a zavorrare i fuselli di pietra o di terracotta. Tutto l’artigianato del legno è molto sviluppato nel materiale che proviene dai ricchi giacimenti sub-lacustri, come l’utilizzo di ossi e di legno di cervo. Dei dragaggi nei fiumi bretoni hanno riportato in particolare, dei manici di asce levigate in legno di cervo iden­tici a quelle di altre regioni. Si sa di qualche piccone in legno di cervo derivato dai depositi costieri bretoni e di molti altri provenienti dalle miniere di selce del Calvados.

L’altra tecnica domestica o artigianale importante è l’apparizione della ceramica che è quasi la definizione del Neolitico. Vicino alla ceramica per uso culinario od officinale, vasi più fini e più curati potevano ricevere un orna­mento diverso, delle forme più elaborate secondo i tempi ed i popoli. Così, lo studio dettagliato della ceramica preistorica è diven­tato una base fondamentale per stabilire le cronologie e le relazioni tra le varie civiltà. Se alcuni cocci sono ubiquitari e poco informa-tori, ci bastano solo poche caratteristiche. Le ceramiche neolitiche sono relativamente poco cotte, fragili e alterabili; non erano ceramiche da mettere sul fuoco; per riscaldare l’acqua, si usavano delle pietre riscaldate su braci incandescenti nei focolari, sia che i recipienti fossero di legno, di cuoio o di terracotta. Fare ceramica con un minimo di qualità è una tecnica già complessa, anche montata a mano e levigata. Si deve saper scegliere i materiali, aggiungere l’argilla utilizzata (in Bretagna è in generale una terra che è il risultato dell’ alterazione superficiale delle rocce), un impoverimento appropriato se non esiste naturalmente, per evitare le fenditure durante l’asciugatura. Talvolta sono state utilizzate delle composizioni minerarie abbastanza strane; vicino a molte ceramiche rozze che ci arrivano sotto forma di cocci disparati ed alterati, ci sono frammenti di ceramiche che attirano ammirazione. Ricordiamo che l’etno­grafia comparata mostra che la ceramica domestica è quasi sempre attraverso il mondo, ideata, elaborata e diffusa dalle donne.

Il taglio della pietra, principalmente della selce, è più un’ occupazione maschile. Se ne ricavavano molteplici lame, potendo essere utilizzate grezze come coltello oppure ritoccate cosicchè le schegge e le lamelle più corte davano dei raschietti, armature di frecce ed altri strumenti o arnesi. Alla fine del Neolitico, il taglio della pietra raggiunse il suo apice con la selce bionda importata dalla Turenna, sia rozza, sia sotto l’aspetto servile di pugnali di rame che iniziavano anche a circolare. Prima, si erano importati degli abbozzi o delle asce levigate terminate in selce di Normandia o della Charente. Un massiccio antico come l’Armo­rica è senza risorse naturali di selce, salvo, cattivi piccoli tronconi nei cordoni litorali delle spiagge. Però, sia nei monumenti megalitici che sull’ habitat, questa selce si trova in abbondanza allo stato di piccole schegge non ritoccate, senza troppi caratteri, e di residui di taglio; con i suoi caratteri taglienti, tutto questo doveva tuttavia avere un certo valore.

L’utilizzo di rocce eruttive o metamorfiche dure e tenaci da taglio ma soprattutto da picchettatura ed bocciardatura poi levigatura, aprì enormi possibilità, più dei pochi giacimenti di quarzo utilizzati su piccola scala per sostituire la selce. Un vero fiuto geologico ha fatto trovare agli uomini del Neolitico armoricano, senza dubbio nel corso di spedizioni di caccia, alcuni giacimenti di rocce migliori di altre. Ne è uscita tutta una varietà di asce, addette ed altri oggetti che terminano con una levigatura accurata fatta sia su una delle grandi pietre che servono da levigatori, sia con piccoli arnesi portatili.

Possiamo esitare nell’ attribuire alle influenze del Neolitico ‘~danubiano” centro-europeo, degli strumenti perforati del tipo delle asce-martello di rocce dure. In ogni caso, questi strumenti diventeranno frequenti verso la fine del Neolitico, insieme alle “asce da combatti­mento” con rifinitura accurata, imitando dei prototipi di rame dell’ Europa orientale, la quale moda fu diffusa da civiltà dell’ Europa centrale e settentrionale. Questi oggetti di prestigio subiranno delle variazioni di forme armoricane (spesso le asce bipenne, cioè scuri a due tagli, sono naviformi), benchè ne cono­sciamo soprattutto dei frammenti o dei pezzi difettosi (essendo la perforazione di un buco cilindrico operazione delicata).

L’estrazione di rocce utili, prese un vero carattere artigianale ed anche quasi industriale per i materiali più ricercati. Più di un terzo delle asce levigate della Bretagna non possono provenire che da uno stesso piccolo giacimento di (meta) dolente che fa parte di un filone localizzato a Plussulien, nelle Còtes-d ‘ Armor. Qui si è stabilita una cava, attorno ad una roccia, con officine che hanno funzionato durante 1.500 anni circa, per produrre abbozzi sommariamente tagliati. Questi prodotti una volta finiti sono stati largamente esportati nel Bacino Parigino quando le diffusioni estreme raggiungevano il Sud dell’ Inghilterra, il Belgio, l’Alsazia, la valle del Rodano e l’Aquitania. Un filone di (meta) orneblenda localizzato vicino Pleuven (Finistère) è servito per fare asce da combattimento diffuse alla fine del Neolitico attraverso tutta l’Armorica i Bacini della Loira e della Senna e fino ai Paesi-Bassi. Diversi giacimenti bretoni di “fibrolite”, roccia che può essere solo segata o levigata, sono stati sfruttati prevalentemente all’ imboccatura del golfo del Morbihan ed anche a Plounin nel Nord-Finistère, del quale alcuni prodotti hanno attraversato la Manica. Così, a partire dalle diverse fabbriche, uno scambio a lunga distanza sparse tonnellate di materie prime e oggetti manufatti (questo però sparso in lassi di tempo considerevoli), in cambio dei quali, altri oggetti potevano essere importati.

Arnesi o armi d’apparato (asce di giadeite e di eclogite), gioielli o ornamenti di prestigio (perle e pendagli di “Callais”). La vaniscite che è la principale specie minerale corrispondente alla “Callais”, è stata scoperta a Pannecé in Loira-Atlantica; si conoscono vere miniere neolitiche in Catalogna; anelli-dischi di giadeite e di serpentina sono dei materiali rari e preziosi di origine meno certa. Abbiamo creduto, per molto tempo, a vaghe possibilità regionali per alcuni materiali come le eclogiti, tuttavia, recenti analisi sofisticate ci hanno permesso di concludere che, come la giadeite, questi materiali sono di origine alpina (le belle giadeite verdi senza nessun dubbio del Piemonte o delle regioni simili varie quantità sono discese dalla valle del Reno e si trovano in Germania e nei paesi vicini, fino alla Gran-Bretagna del ed alla Scozia). Senza far venire questi oggetti dall’ Asia, come si è creduto un secolo fa, si vede che il mercato comune degli scambi di prestigio dell’ Europa occidentale funzionava da molto tempo. Tuttavia, da baratto in baratto, da scambio in scambio, tra tribù vicine, il tempo di percorso poteva essere abbastanza lungo. Alla fine del Neolitico, delle nostre regioni (non dimentichiamo però, che tutto il nostro Neoli­tico è contemporaneo all’ Età del Rame, dell’ Europa orientale), l’esistenza di rari arnesi e armi di metallo, rame arsenicato più che bronzo, segnatamente piccoli pugnali da seta, mostra che alcune sepolture megalitiche sono state ancora utilizzate durante la prima ondata di diffusione del metallo calcolitico in particolare legata ai vasi chiamati “gobelet”, campaniformi. L’oro nativo era ugualmente impiegato per fare degli addobbi, in generale di fili o di foglie prodotti dalla battitura di pepite trovate nei fiumi (la Bretagna è stata relativamente ricca di oro alluvionario).

POSIZIONE CRONOLOGICA DEI MONUMENTI MEGALITICI

I principali momenti della civiltà dei costruttori di megaliti sono stati preceden­temente ricordati, così non ci resta altro che collocarli più precisamente nel tempo e nella scala degli stadi preistorici. Rispetto alla lunga storia della specie umana, si tratta di qualcosa di relativamente recente, alla fine dei tempi preistorici delle nostre regioni, alla cerniera della protostoria. Da molti millenni, da qualche parte del Vicino-Oriente, una grande evoluzione delle pratiche economiche aveva già sostituito, ad una vita precaria basata sulla caccia, la pesca oppure la raccolta, un’ esistenza più stabile grazie alle innovazioni della produzione intenzionale di cibo, di qui la coltura dei cereali con il tipo di vita neolitica. Notiamo che più o meno simultaneamente, ed indipendentemente, in altre parti del mondo, delle innovazioni simili si erano già imposte (la coltura del riso in Oriente, quella del granoturco in America ecc...). Ne erano risultati una serie di progressi tecnici successivi, e quando questa evoluzione economica si diffuse in Europa Occidentale, non era più al suo stadio iniziale, e d’altronde gli europei avevano immaginato altri adattamenti complementari e nuovi tipi di vita.In questo momento, però, progressi e nuove invenzioni erano comparsi in Asia Occidentale, ed entravano nella storia con la scrittura. Una parte di questi nuovi progressi, diffondendosi più velocemente cominceranno a farsi sentire in Occidente alla fine dei tempi neolitici.

Il megalitismo occidentale è una di queste innovazioni europee. Grazie al prodigioso apporto d’informazione procurato dalle scienze fisiche e naturali, da quarant’anni si è in condizione di percepire meglio le fasi le durate del tempo. Il metodo più preciso è la dendrocronologia, il conteggio dei cerchi di crescita degli alberi, che permette di risalire a più di 7000 anni, con un margine di errore di appena un anno, a condizione di avere legni ben conservati, di preferenza la quercia (laghi d’Europa Centrale e Irlanda per esempio), ciò permette di correggere gli altri metodi crono­logici. Di tutti questi, il più utilizzato è quello del dosaggio del radiocarbonio, (il tempo del radiocarbonio non si registra esattamente come il tempo assoluto, necessita di una leggera correzione che è fornita precisamente dalla dendrocronologia) che procura una “scala” cioè dei lassi di tempo che permettono di stimare un avvenimento archeologico o geologico. Lo stesso vale per altre tecniche di datazioni fisicochimiche, (per esempio la termolumi­nescenza applicabile, tra l’altro, alle terrecotte).

Grazie a numerose serie di datazioni con il metodo del radiocarbonio, rafforzate con tutti i metodi di correzione e di riscontro, e con lo studio comparativo di tutti i dati del problema adesso si può dire che le sepolture megalitiche d’Armorica e delle regioni vicine, sono datate a circa 7000 anni fa, o forse più, perchè i monumenti molto complessi che datiamo, hanno potuto avere dei prototipi di alcuni secoli prima. Essendo stati costruiti in circa 2500 a 3000 anni, i monumenti dovevano rimanere in uso fino a, circa, 3800-4000 anni prima del periodo attuale più o meno a seconda dei luoghi e dei casi; delle tradizioni locali e dei tentativi di riutilizzazione.

Sono delle valutazioni quasi raddoppiate rispetto a quelle che avevano credito solo trent’anni fa, le quail sono state progressiva­mente riviste. Qui non possiamo dare troppi particolari, però ci furono ragioni tecniche per invitare, per molto tempo, all’ utilizzo solo di date B.P. (Before present, prima del presente, arbitrariamente bloccato durante l’anno di grazia 1950 A.D) ed evitare così dei riferi­menti all’ A.C. che coinvolgono dei paragoni con le date storiche. I progressi recenti dei metodi di correzione (calibrazione), dal 1981 al 1985, permettono ormai dei paragoni con i metodi usati per contare il tempo attuale (questo spiega, però, che tra i libri più o meno recenti, si possano riscontrare delle disparità o delle contraddizioni semplicemente apparenti illustreremo questo, ricordando che 1000 anni di radiocarbonio possono corrispondere talvolta a soltanto 950 anni siderali, ed oltre a 1500 anni siderali a seconda delle zone di tempo considerate).

Ormai è dunque possibile precisare la sequenza dei diversi tipi di tombe megalitiche in Bretagna, e dei diversi tipi di ceramiche che permettono di caratterizzare le fasi successive al neolitico armoricano. Sapendo che la terracotta pre-megalitica apparve in Vendea e nel Centro-Ovest circa 5500 anni a.C., fissiamo i principi della neolitizzazione pressapoco nello stesso periodo che apparvero in Renania e nel Benelux, mentre allo stesso tempo i cacciatori-pescatori della Bretagna ammassavano sempre, su dei mucchi di conchiglie i loro scarti di alimenti, dove cominciarono, forse, a farsi notare rari animali in via d’addomesticamento.

I primi dolmen a corridoio hanno dunque cominciato ad essere edificati circa 5000 anni a.C., e si troveranno associati più tardi, con la prima varietà di terracotta antica di tipo neolitico occidentale delle nostre regioni, dette del tipo Carn, potendo essere fini e con una superficie accuratamente liscia come la pelle, dando dei vasi a fondo rotondo, a volte ornati da piccoli cerchietti in rilievo. Nella stessa fase, si trova nelle regioni orientali e meri­dionali del Massiccio armoricano qualche traccia di decorazioni con scanalature o linee punteggiate, indizi di relazioni con le varietà di civiltà “danubiane” arrivate allora sino al Bacino Parigino, la Normandia e le isole Anglo-Normanne. Invece nel Poitou e nella Vendea si trova una variante di tipo Caro, detto tipo dei Cous che produce anche dei vasi globulosi e curati a fondo rotondo, con spesso una restrizione a livello del collo. Tutte queste terrecotte hanno in comune il fondo rotondo e non sono state fatte per essere poggiate a terra.

I dolmen a corridoio continuano ad essere edificati, con numerose varietà spesso regio­nali; si allungano verso le camere laterali oppure si suddividono in compartimenti o ancora si differenziano pochissimo tra la camera ed il corridoio. Si trova una ceramica più diversificata e più ornata, però sempre a fondo rotondo. Da una parte, un’ evoluzione del tipo Carn dà il tipo del Souc’h, con dei manici perforati verticalmente o del tipo Quélarn con delle decorazioni di bottoni intorno all’apertura; d’altra parte un’ influenza ancora più forte delle civiltà del mezzogiorno dette “chasséennes” del Neolitico Medio e delle civiltà del centro della Francia, che dà una variante annoncana del “chasséen” con dei vasi da portare sulla spalla, tra pancia e collo ed un tipo particolare di vaso molto decorato, le coppe con basamento (detti una volta vasi-sostegno). È anche l’epoca in cui gli oggetti che esistevano prima, come le accette levigate che però non sono ancora messe tra i mobili funerari, fanno la loro apparizione (e in grande quantità nelle camere chiuse dei grandi tumuli della regione di Carnac e di Locmariaquer).

Gli ultimi monumenti della serie classica dei dolmen a corridoio saranno costruiti poco dopo i 4000 anni a.C. In quel periodo, però, sono state edificate un certo numero di varietà deri­vate, come i monumenti a squadra, poi intorno ai 3500 anni a.C., i monumenti che hanno perso le loro caratteristiche che li differenzia-vano, poi le sepolture ad entrata laterale e i viali coperti circa nel 3000 a.C. Gli ultimi viali coperti sono stati costruiti verso il 2500 a.C. Con queste varietà, abbiamo diversi tipi regio­nali di terrecotte fra i quali si svilupperanno i piatti fondi sulla costa Sud soprattutto, il tipo di Kerugou, dal Finistère alla Loira-Atlantica meridionale, con un collo verticale e rientrante, decorato da disegni verticali sagomati o incisi; più a Nord abbiamo soprattutto il tipo di Quessoy, senza questi ornamenti verticali. Ed infatti gli stili del Neolitico detto S.O.M. del Bacino Parigino introdussero in Bretagna dei vasi rozzi come i “vasi per fiori” e le varianti delle bottiglie a collaretto. Alla relativa unità del Neolitico Medio che è il periodo delle sepolture della serie dei dolmen a corridoio, èsucceduto il Neolitico Recente e Finale con una moltiplicazione dei generi, sia una conti­nuazione della frequentazione di tutto o parte dei monumenti anteriori (a volte con piccole modificazioni o riprese) ed una certa tribalizzazione.

Un’ultima fase importante di riutilizzazione delle sepolture megalitiche, senza dubbio, con poche costruzioni, corrisponde al Calcolitico, lunga fase di transizione tra le economie con attrezzature di pietra e quelle con utensili di metallo. È soprattutto quella dei vasi detti campaniformi (a forma di campana, in posizione rovesciata; una volta si diceva anche caliciforme), questi bicchieri sono accompa­gnati anche da diversi altri oggetti caratteristici di questo assemblaggio culturale. C’era la tendenza ad assegnare l’origine di questi bicchieri campaniformi ad una nuova popolazione, adesso ci si crede più volentieri ad un fenomeno di moda politica, con un gusto diverso per gli oggetti prestigiosi che erano forse utilizzati per bere dei liquori particolari, verso i 2500 anni a.C. per la nostra regione.

Il megalitismo deve dunque essere percepito in una prospettiva di lunga durata. Anche senza i primi tentativi di precursori che purtroppo ci sono sconosciuti ed i pochi riflessi tecnici e delle mancanze identificabili nella costruzione delle tombe dei tumuli armoricani dell’ Età del Bronzo, si deve includere una durata di 2500 anni di megalitismo, questo è più dei tempi storici passati in Gallia ed in Francia, non ècerto una moda passeggera.

Tuttavia, i megaliti sembrano recenti, visti nella lunga prospettiva dei tre milioni di anni della storia naturale e primitiva dell’ umanità. Tutto li distingue dalle civiltà che sono esistite nelle centinaia di millenni della durata dei tempi paleolitici, durante i quali l’umanità ha fatto, piano piano, i suoi primi passi. Nessuna confusione deve rimanere nella mente e la parola “preistorica” non deve necessariamente evocare gli uomini di Néandertal o delle grotte con graffiti. Al contrario, subito dopo i megaliti, in piena Età del Bronzo, l’Armorica ha conosciuto una civiltà protostorica di cui le origini sono molto diverse, prima di passare all’ Età del Ferro e poi alla Storiza.

Dei monumenti così straordinari (e così voluminosi) come i megaliti hanno conservato anche dopo il loro periodo di maggiore splendore, un significato culturale o una leggenda mitica per le popolazioni autoctoni, ed una attrazione o una ripulsione per i nuovi arrivati nella regione. Così gli armoricani dell’ Età del Ferro, al margine del dominio propria­mente celtico, infiltrarono delle sepolture selvatiche in alcuni dolmen, mentre i loro discendenti Gallo-Romani ne visitarono e ne depredarono molti di essi. Vi installarono dei santuari dove celebravano dei riti Ctoni e a volte delle sepolture, come se si trattassero di grotte naturali. I menhir, in tutte le epoche, dall’ ; del Bronzo, furono veri punti di riferi­mento per nascondigli di tesori o per l’orga­nizzazione del paesaggio. Le credenze e i riti protostorici ed antichi erano segnati da una tendenza al sincretismo, la fusione delle idee e delle tradizioni.

Al contrario, soprattutto i preti e i missionari cristiani si sono caratterizzati per la loro enorme intolleranza, urtandosi continuamente all’ attrazione irresistibile delle popolazioni bretoni per queste pietre macchiate di un paganismo ancestrale, reviviscente di un modo tenace, le fecero distruggere, mutilare o seppellire, ma più volte tentarono anche la loro cristianizzazione. Questa politica di assimilazione indiretta e di appropriazione culturale è segnata talvolta dall’ aggiunta o dall’ incisione di croci ed altri simboli, a volte con l’integrazione di un edificio religioso (ne è un esempio il curioso dolmen trasformato in cripta sotto la cappella dei Sept­Saints al Vieux Marché nelle Còtes d’Armor), altre volte ancora subiscono uno spostamento ed inclusione in una cinta sacra.

L’esempio del tipo di vita condotta da Saint­Samson è edificante. Partito dal paese dei galli per andare in Armorica attraversa il Cornwall, e vi trova degli indigeni che ballano attorno ad un menhir, li ammonisce e fa distruggere o mutilare la pietra. Però, arrivato da questa parte della Manica, edifica il suo monastero a Dol, nelle immediate vicinanze del grande menhir del Champ Dolent al quale non fa subire alcun danno, ma già, probabilmente lo ha incoronato lui, di una croce quanto al grande menhir, coperto da segni incisi e scolpiti, situato dall’ altro lato della Rance nella parrocchia che porta il suo nome e che apparteneva alla sua abbazia, nemmeno a questo fa niente (a parte il fatto che è forse lui che ha fatto scavare alla sua base, donde l’inclinazione della pietra; nel passato in questa base, si sarebbero trovati, un tempo in questa base, un cono ed un anello di ferro). Però, non si convertisce un folclore e questa cristianizzazione a volte efficace, fu spesso superficiale. Infatti, ancora recentemente numerosi megaliti occupano un posto di spicco tra le “pietre leggendarie” della Bretagna; alle quali si fa riferimento di pratiche reputate pagane, a volte ricoperte da una vernice cristiana, strana e varia. Sarebbe tuttavia un errore pensare che le origini di questo folclore delle pietre, datassero dal tempo dei costruttori di monumenti megalitici; ci sono state tra loro e noi, altre civiltà successive.

Tuttavia i dolmen e i menhir, tanto numerosi sul suolo della Bretagna, rimangono ancora le venerabili vestigia di una civiltà ormai scomparse, di un livello già molto elevato, e in confronto alla quale, la nostra, non è veramente superiore. Sarebbe un grande errore vedervi dei templi necessariamente “barbari”; vi si viveva forse in pace, con sicurezza, con una buona fratellanza nella maggior parte del tempo. Queste pietre riunite in monumenti funerari o eretti come misteriosi simboli, rappresentano una delle tante prove le più commoventi e forse più importanti che esistano in Europa ed anche nel mondo intero, lasciate dalle popolazioni che avevano un sistema completo di credenze e di riti. Popoli verso i quali abbiamo un grande debito, anche se spesso non vogliamo ammetterlo.

Così queste grandi pietre che si stagliano contro l’orizzonte, lungo le lande, impongono ancora oggi, se non sempre il rispetto e la meraviglia che meritano, almeno la legittima curiosità del passante.

Rennes e Penmarc’h, 1957-1992.



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Valcamonica Preistorica

MEGALITI di BRETAGNA

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