passo Dernal

sentiero n° 1


Alta via dell'Adamello

sentiero Renato Floreancigh


Venerocolo


Il gruppo dell'Adamello, dal corno Baitone al Caré Alto - al centro la valle Adamé -


da web-site Parco dell'Adamello - L'Alta Via N.1 -

l'Alta Via dell'Adamello è uno splendido percorso di trekking. Attraversa in modo coerente da sud a nord (e viceversa) la dimensione maggiore del gigante retico, mantenedosi in corretto equilibrio tra impegno senza eccessive difficoltà e accessibilità per...tutti (purchè ben allenati, motivati ed equipaggiati) senza per questo essere banale. Si sviluppa per poco più di una cinquantina di chilometri a piedi, spesso su terreno libero (ma guidati dalla segnaletica) lontano dal concetto di "sentiero" e dagli itinerari dell'escursionismo consumistico.
Un viaggio cioè alla scoperta di un mondo straordinario e mutevole, entro i quali sono concentrati tanti e tali fenomeni naturalistici, da sbalordire quell'escursionista che non si accontenta di camminare, ma che chiede oltre alle suggestioni estetiche, anche risposte complete e significative delle manifestazioni naturali che incontra.
Ma è anche un tuffo nella storia più recente, raccontata dai resti di insediamenti militari della grande guerra: trincee, muraglie, caverne, opere che sembrano imponenti, ma che la natura si è incaricata di riassorbire col suo ritmo lento e inarrestabile, sdrammatizzandone il significato originario.
Severa e gentile allo stesso tempo, possiamo definirla un'alta via da intenditori.

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Escursioni al Baitone

Baitone Salarno Arno

Sentiero degli invasi dell'Adamello


Ho percorso alcune volte, sia da Sud a Nord che in senso opposto, negli anni '80, il sentiero n° 1, sempre in "solitaria" - con la variante, da passo Ignaga ad Adamé, attraverso il passo di Forcel Rosso per motivi di sicurezza - la descrizione, o meglio il "racconto" di Franco Ragni mi evoca le più profonde emozioni di allora....
... lo propongo pertanto ai visitatori del mio sito ...

dal sito: http://www.cai.bs.it/vedit/pagina.asp~pagina~1395~apriramo~0002000100050001



Sentiero n. 1 dell'Adamello
- Un sogno, un'idea - di Franco Ragni

"Sentiero 1": non solo un' "Alta via" di sassi e vernice, ma anche (o soprattutto) un sogno e un'idea, alimentati dalla magicità del nome "Adamello", dalla bellezza severa del suo ambiente e dalla capacità di sognare e lavorare di un uomo (quasi una parafrasi dell'ora et labora benedettino), perché in tutte le realizzazioni importanti c'è "uno" che sta davanti, e trascina.

Quando Renato Floreancigh lo concepì, 35 anni fa, e si mosse immediatamente per realizzarlo mettendosi personalmente in gioco e trascinando con l'esempio e l'amicizia un piccolo gruppo di perplessi collaboratori, sentiva di accingersi a qualcosa di grande e di nuovo e oggi possiamo dire che fu una di quelle cose che non fai se non hai dentro di te del fuoco; un'Idea, appunto.

Il "Numero Uno" è un'Alta via classica, realizzata per essere fruita, ma nello stesso tempo caratterizzata da ambienti rimasti "selvatici" e lontani dal mondo dell'escursionismo "consumistico"; un percorso da veri intenditori, da affrontare con dedizione e rispetto, fonte di incredibili soddisfazioni al prezzo di oneste fatiche da affrontare austeramente, per lo più in ambienti isolati e ancora "ruspanti". Sembrerebbe - in definitiva - che l'origine vulcanica dell'intero massiccio dell'Adamello abbia marchiato del suo fascino ferrigno ("bresciano", si direbbe) i percorsi e i panorami che ora ci accingiamo a gustare.

Un'avvertenza: la descrizione che segue non si propone di fungere da "guida" escursionistica; ha piuttosto qualche velleità di poter esprimere delle semplici impressioni, con l'obiettivo dichiarato (per amore e non per calcolo) di comunicare un'idea accattivante di questo percorso. Ma senza barare, perché con l'alta montagna non si bara: prima o poi ti presenterebbe il conto. Qui siamo in alta montagna, infatti, e il tracciato non scende mai sotto i 2.000 metri, sfiorando qua e là i 3.000. Uomo avvisato….

Altra avvertenza: dall'epoca della prima "guida" descrittiva dell'Alta via dell'Adamello (1976), per un complesso di motivi che vedono pure la corresponsabilità di chi scrive, le prime due tappe ("lago della Vacca-Maria e Franco" e "Maria e Franco-Lissone") sono state esageratamente sottostimate nei tempi di percorrenza (tempi troppo corti rispetto alla realtà, col rischio di causare seri problemi agli ignari percorritori), mentre la terza (Lissone-Prudenzini) è stata un po' troppo "allungata" (in questo caso senza apprezzabili conseguenze negative per il "viandante", ovviamente). Purtroppo gli stessi tempi sono stati trasferiti nella segnaletica verticale ("frecce") e pure ripresi acriticamente da tutti gli autori succedutisi nei decenni nella stesura di nuove descrizioni del percorso.

"Giustizia è stata fatta" solo nell'edizione del CAI Brescia dedicata ai "Trekking bresciani" (1997), anche se permane il rischio di fraintendimenti tra le diverse possibili fonti d'informazione. Ultima avvertenza: nella descrizione che segue, ogni frazione è relativa al collegamento tra un rifugio e il successivo, senza dare connotazione di "tappa". Dove, qua e là, si danno dei tempi, questi sono indicativi e "netti" di solo cammino, valutati su un medio escursionista avvezzo all'alta montagna.

Chi si avventura in questi ambienti sa bene che i tempi possono risultare estremamente variabili, in funzione di diversi fattori tra i quali, non ultimo, la meteorologia, ma anche - non si dimentichi - la consistenza della compagnia: in più si è e più tempo s'impiega, anche di molto. Il verso di marcia descritto è quello da sud a nord, che permette - tra l'altro - la gratificante sensazione dell'avvicinamento progressivo dalla periferia estrema del Gruppo al suo "cuore" (si finisce proprio ai piedi della parete nord dell'Adamello).







rifugio Maria e Franco


rifugio Maria e Franco


rifugio Maria e Franco



Prima frazione:
dal "Tita Secchi" al "Maria e Franco"

Premesso che il bel "Tita Secchi" della "Ugolini", ha in pratica sostituito il vecchio, piccolo e glorioso "Gabriele Rosa" del CAI Brescia (annesso alla "casa dei guardiani" della diga del lago della Vacca), il cammino che ci attende in questa frazione è all'insegna dell'isolamento assoluto; un lungo "avvicinamento" tirato quasi tutto su terreno libero, senza traccia preesistente di sentiero.
Una breve asprezza finale farà da avvisaglia per gli altalenanti e ripidi dislivelli che caratterizzeranno le frazioni successive.

L'inizio, per circa tre quarti d'ora di graduale salita, è su bella mulattiera di guerra che rimonta all'ombra dell'imponente Cornone di Blumone fino a raggiungere il passo omonimo e guadagnare i vasti panorami che si aprono verso l'acrocoro centrale e soprattutto verso le sue propaggini trentine dominate dal Caré Alto.
Su terreno aspro, accidentato, pietroso, si cala ora nella prima delle tre vastissime conche che ci attendono e che certa letteratura definisce come desolate.
Ma non c'è invece desolazione in questa pagina di storia naturale squadernata, aperta come i blocchi di granito spaccati dal gelo su cui si procede affiancati alla Cima di Laione e guidati dalla sola segnaletica, per attraversare l'anfiteatro della testata della valle del Caffaro, delimitato dalla cresta orientale del monte Listino dove s'incrocia la mulattiera di guerra che viene dal passo del Termine e sale alla vetta, defilata all'osservazione "nemica" di quasi novant'anni fa.

Il nostro tracciato deborda invece in territorio trentino, lungo le due successive conche: quella che conduce alla base della Rossola di Predona per poi rimontare un intaglio che immette nella conca successiva, dominata sulla destra dall'imponenza del Re di Castello e detta "del Gellino" o anche "Predona".
Il nome dice tutto, perché i "predoni" non c'entrano: si tratta di una derivazione dialettale da "pietra", "grande pietra"…; e sarà una bella ginnastica per le gambe, su questa ganda di "grandi pietre".

L'assenza di sentiero definito si spiega appunto col fatto della guerra: qui era terreno scoperto, "terra di nessuno".
Il sentiero di guerra "italiano" corre aereo, invece, sotto la cresta dal Listino alla Rossola, sul versante bresciano, e lo stanno recuperando; più lungo e articolato del nostro, costituirà una variante (o diverrà, forse, il tracciato principale?) di estremo interesse escursionistico, paesaggistico e storico.

La traversata della conca Predona porta a salire gradualmente alla base della incombente e apparentemente (da lontano) insormontabile bastionata rocciosa che difende la cresta Rossola-Dernal-Re di Castello.
Ma invece si può risalire: un sistema di piccole cenge erbose, assistite da qualche tratto di fune metallica, rimonta la ripida parete e immette alla Bocchetta Brescia, sulla cresta di confine, a cavaliere tra vastissimi panorami sulle montagne trentine, sui più vicini Frisozzo e Badile Camuno, sulle Orobie e ancora oltre.

Sotto di noi il "Maria e Franco" del CAI Brescia, rifugio risorto sulle rovine del vecchio "Brescia", al passo Dernal.
Ma per raggiungerlo dobbiamo percorrere ancora una volta una distesa caotica di grandi massi; peraltro siamo in discesa e il tratto è breve (non più di una mezz'oretta a passo normale) e siamo finalmente al rifugio, un vero "rifugio", accogliente ma austero e senza fronzoli, come piace a noi.
Il tempo impiegato? Potrebbe essere verso le sei ore nette di cammino, anche qualcosa di meno…o forse di più.





lago d'Avolo


passo di campo


lago d'Avolo



Seconda frazione:
dal "Maria e Franco" al "Lissone"

Le prime luci del mattino, se la giornata è limpida, offrono dal passo Dernal (venti metri dal rifugio…) una visione incomparabile verso l'Adamello, che si vede emergere sul fondale di una sapiente scenografia di "quinte" successive, irregolarmente sovrapposte e articolate, seghettate come si conviene a delle rocce cristalline.

Da manuale, in primo piano, è la Sega (appunto!) d'Arno e alla sua base punteremo, ma passando prima dal deliziosamente rustico laghetto Dernal, annidato nella sua pietrosa scodella proprio sotto il passo omonimo dal quale siamo partiti.
Dominando dall'alto il "fiordo" del lago d'Arno e la val Ghilarda, serpeggiando sul vecchio sentiero militare nel vasto anfiteatro di rocce levigate e arrotondate dall'azione di un'antica vedretta (era detta "di Saviore"), si va a imboccare una sorta di cengia che percorre la base della "Sega" e ci conduce al panoramico passo di Campo e ai resti della imponente cittadella militare che l'occupava in tempi non felici.

Siamo ancora sul confine e, sotto di noi, incastonato nel verde che sale dalle valli trentine di Daone e di Fumo, occhieggia il gioiello del lago di Campo. Dietro, sullo sfondo, domina l'imponente parete sud-ovest del Caré Alto e in mezzo, affondato nella bassa val di Fumo, è il grande lago artificiale di Malga Bissina.

Il nostro percorso sconfina ancora sul versante trentino per correre sul fianco del Corno della Vecchia fin sotto un salto percorso da una piccola cascata, che sorregge il suggestivo lago d'Avolo annidato nel suo circo roccioso dal quale si sale al passo omonimo.

Alti sulla val di Fumo si corre in gronda sul comodo sentiero militare che arriva al passo Ignaga. Da qui è facile debordare in emergenza su ciascuno dei due versanti, bresciano e trentino, ma invece proseguiamo, ben consci che per un bel po'…. sarà proibito scherzare! E', questo, il tratto più delicato di tutto in "n° 1", non tanto per la difficoltà, quanto per la pericolosità: è vietato inciampare o scivolare lungo la traccia che dapprima è un camminamento militare appena defilato alla rocciosa cresta di confine, e poi si trasforma in un sentierino che taglia il ripido fianco erboso (attenzione: "isiga", erba compatta e scivolosa) e che consente - come il tratto precedente - panorami spettacolosi, che però è meglio fruire da fermi; se si cammina è obbligatorio guardarsi i piedi.

Infine la discesa, ripida e veloce tra erba e ripide ma facili roccette (qua e là qualche corda fissa), fino a immettersi sulla piatta "strada del canale", cosiddetta perché a suo tempo costruita per il servizio a un canale idroelettrico sotterraneo, oggi ridotta a sentiero che porta quasi pianeggiando al rifugio Lissone.

La piccola complicazione, nelle ultime poche centinaia di metri, di uno stretto canale immette su una breve cengia (corde fisse), oltre la quale una modesta risalita conduce al bel rifugio del CAI di Lissone, accanto a un piccolo sbarramento idroelettrico, sulla sommità del salto delle "scale dell'Adamé" e allo sbocco di una omonima valle glaciale da manuale, lunghissima, ampia, pianeggiante e regolare, lungo la quale un formidabile antico ghiacciaio dell'Adamé ha potuto scorrazzare avanti e indietro a suo piacimento, facendo un lavoro straordinario per realizzare il luogo ideale per un ipotetico film su un'altrettanto ipotetica "valle perduta".





rifugio Lissone


val Adamé


rifugio Prudenzini



Terza frazione:
dal "Lissone" al "Prudenzini"

Lasciata l'ospitalità del rifugio, ci addentriamo tra pietraie, magrissimi prati e acquitrini (il torrente serpeggia incantevole nell'ampio fondovalle) in questa valle senza tempo e senza fine, severa e silenziosa, distesa su lunghissimi gradini pianeggianti separati tra loro da brevi e modesti salti.

Si superano le Casine di mezzo (o "Baite nuove") e si continua, apparentemente diretti al fondovalle dove ci attenderebbe una ripida rimonta di un chilometro di dislivello per approdare direttamente sul Pian di Neve, ma il nostro itinerario la pensa diversamente e, in corrispondenza di una caotica distesa di grandi massi (al "Cùel del manzolér", piccolo baitello di pastori) piega a sinistra affrontando la ripida rimonta del "costér di destra" della valle.

Alle nostre spalle s'innalza la formidabile opposta cresta di confine con la val di Fumo, che possiamo ammirare nelle inevitabili soste della salita (per chi non corre), mentre davanti a noi i graniti spaccati della cresta spartiacque con la val Salarno ci fanno intravedere la ripida rimonta allo stretto passo Salarno.

Faticosa e ripida la rimonta, e poi bisogna vedere se c'è o non c'è neve (in alta montagna è sempre così), ma negli ultimi metri prima di sbucare al passo è meglio trattenere il fiato: quando "sbucheremo", infatti, potrebbe coglierci qualcosa di simile alla "sindrome di Stendhal".
A parere di che scrive è la visione più spettacolare di cui si possa godere sul "n° 1": di fronte a noi, sorretto dalle impennate rocciose della testata della val Salarno e, dietro, della val Miller si stende il Pian di Neve dominato dalla pacifica pala del versante sud della vetta dell'Adamello (è sempre stata una "pala", per la verità, ma le devastazioni operate sulla coltre ghiacciata dalle ultime estati, l'hanno trasformata in desolato tavoliere di pietra, che ai nostri lettori auguriamo di vedere almeno innevato).

Sosta d'obbligo; è tutto troppo bello e dobbiamo godercelo.
Anche la discesa sul versante opposto, verso la verdeggiante piana della valle in cui serpeggia un Poia di Salarno appena disceso dalle alimentazioni glaciali della testata, può essere resa laboriosa dall'eventuale innevamento, ma non dovrebbero esserci particolari problemi e il rifugio Prudenzini (CAI Brescia) è pronto ad accoglierci nella sua splendida posizione al centro di uno stretto e altissimo anfiteatro di ardite creste granitiche.
Abbiamo camminato per un ragionevole tempo, tra le quattro ore e le quattro e mezza; tappa breve perciò, ma ormai in mezzo - letteralmente - alle cose più belle che l'Adamello può offrire.







passo Miller


rifugio Gnutti


... al passo del gatto





Quarta frazione:
dal "Prudenzini" al "Gnutti"

Collegamento tra due gioielli: dalla val Salarno alla val Miller, e lungo un profilo altimetrico di esemplare semplicità: salita, passo Miller, discesa al "Gnutti", senza altre distrazioni che non siano quelle degli ambienti e dei panorami spettacolari che ci circondano e ci sovrastano.

La rimonta al costér di destra della val Salarno inizia a pochi passi dal rifugio e attraversa la sede di una grossa frana che qualche anno fa (1987) ha modificato il tracciato originario.
Sassi, rocce lisciate e spiazzi erbosi caratterizzano il nostro terreno di gioco, mentre percorriamo verso sud il costér verso la base di uno sperone che scende dalla cima Prudenzini.

Dopo, una caotica distesa di enormi massi ci porta ad imboccare l'erto e facile canale terroso ed erboso che ci conduce dritti allo stretto intaglio del passo Miller, il cui scavalcamento - piuttosto ripido nei primi metri di discesa sul versante opposto - è facilitato da qualche catena infissa nella roccia.

Dal passo e lungo la discesa la visione non è al livello di quella dal passo Poia, col suo ardito "sbarramento panoramico" in primo piano, ma pure non si può non restare ammirati dalla visione dell'alta val Miller, degradante dalle alte bastionate che incombono a destra (la piramide della cima Plem e soprattutto la scura grande parete del Corno Miller che sul versante opposto sovrasta e alimenta il Pian di Neve, tanto da meritarsi da Freshfield - 130 anni fa - la qualifica di "cima gemella" dell'Adamello) verso la placida, verde, immensa "scodella" della testata della valle, percorsa dal bianco serpente di un canale collettore idroelettrico (inutilizzato).

Discesa piacevole, magari facilitata nel primo tratto da scivoli di neve, e mentre - giunti in fondo -attraversiamo in pieno sole (deve esserci, perbacco!) l'intera conca della valle vediamo alla nostra destra, imponente e incombente, il Corno Miller sulla cui sinistra trabocca (o traboccava?) la colata di ghiaccio del Passo dell'Adamello, "via" più veloce - anche se un po' impegnativa - per la salita alla vetta omonima.

Noi invece puntiamo a sinistra, verso il delizioso rifugio Gnutti appoggiato al rilievo di uno di quei tipici "gradini" delle valli dell'Adamello, che in questo caso ospita anche un modesto sbarramento idroelettrico, finalizzato non tanto al contenimento e alla conservazione dell'acqua quanto al suo convogliamento sul cosiddetto "sistema del Poia", una delle più colossali opere idroelettriche realizzate sulle montagne bresciane nei primissimi decenni del Novecento, gli anni del "carbone bianco".

Sostare al "Gnutti" e guardarsi in giro e verso la vicina testata della valle toglie ogni dubbio sul da farsi: siamo in cammino da tre orette e mezza, non molto perciò, ma si vive una volta sola.
Ambiente stupendo e ospitalità squisita; è d'obbligo fermarsi, godersi il tramonto in val Miller e fare "igiene mentale".





diga Baitone


Baitone


Tonolini



Quinta frazione:
dal "Gnutti" al Tonolini"

E' una frazione di trasferimento, con diversi saliscendi senza particolari dislivelli, ma che ci conduce, dopo una panoramica traversata in gronda sull'alta val Malga e sulla precipite forra del torrente Remulo, nella vastità rocciosa della conca "dei Laghi Gelati", proprio sotto il Corno Baitone.

Salutato il "Gnutti" incontriamo le ondulazioni di un bel sentiero che si fa gradatamente più esposto fino a configurarsi in una stretta cengia in corrispondenza del caratteristico passo del Gatto (corde metalliche a rassicurazione del viandante), per poi sbucare nel bel mezzo della vetusta area idroelettrica del Baitone, sorta di villaggio di installazioni e fabbricati disseminati su più livelli.

Rimontiamo questi ultimi fino alla diga e all'annessa ex "casa dei guardiani" riallestita recentemente a rifugio privato col nome scontato di "rifugio Baitone". Vasto e circolare, davanti a noi, è il bel lago omonimo (qui quasi tutto ha il confidenziale nome di "Baitone") adagiato nella vasta conca pietrosa dominata sullo sfondo dal Corno Baitone e dalla cima Plem, a destra dal Cristallo e alla sinistra dalle Granate.

All'estremità opposta del lago, un marcato rilievo sorregge la nostra meta: il vecchio, storico e blasonato rifugio Tonolini, il cui nucleo fondamentale è ancora quello della spartana "capanna Baitone" di fine Ottocento.
Vi si arriva senza difficoltà, dapprima scavalcando un basso e arrotondato dosso roccioso alla nostra destra e poi - percorsa la sponda orientale del lago - rimontando con brevi svolte il pulpito sul quale, accanto al piccolo delizioso lago Rotondo, ci attende il "Tonolini". Varcarne la soglia è come tuffarsi nella storia.

Posizione pittoresca: a monte la sterminata pietraia altalenante della conca del Baitone con la sua aspra corona di vette; sotto, a valle, il grande lago coronato dalla diga.
Una bella meta al prezzo di un paio d'ore di cammino dal Gnutti.





verso il passo Premassone


dal passo Premassone


passo
Premassone


lago Pantano



Sesta frazione:
dal "Tonolini" al "Garibaldi"

Ci attende l'ultima gradevole fatica del lungo "n. 1".
E' più articolata delle due precedenti, ma è un giusto pedaggio (che pagheremo molto volentieri) per panorami tra i più spettacolari e celebrati dell'Adamello, oltre che per la meta finale delle nostre fatiche.
Dal Tonolini si comincia con la graduale risalita su ganda dell'ampio vallone che ci porta in direzione della caratteristica "corda molla" del crinale disteso tra due colossi: la Cima Plem a destra e il Corno Baitone a sinistra.
Sbucati sul ripiano occupato dal lago Premassone, ci rendiamo conto che l'arrivo all'omonimo passo ("tetto" del "n° 1" coi suoi 2923 metri di quota) è ormai questione di poco: il valico è indistinguibile sul profilo della cresta che si stende davanti ai nostri occhi, ma sappiamo che "è lì" e non ci sbagliamo perché rapidamente e ripidamente risaliamo i duecento metri scarsi di dislivello, aiutandoci qua e là con le mani, ma sempre senza problemi.

Al passo ci attende uno dei panorami più famosi dell'Adamello bresciano, certamente il più fotografato, dominato dalla scura parete nord-ovest dell'Adamello e chiusa da ogni dove da una corona di cime, tutte oltre i 3.000 metri, che distendono zoccoli e speroni rocciosi dentro il profondo nodo vallivo Avio/Venerocolo cui siamo diretti.

Vediamo chiaramente anche il lago Venerocolo con accanto il puntino bianco del rifugio Garibaldi, nostro definitivo capolinea.
La discesa dal passo è cauta e un po' aspra, ma assistita da corde e catene utilissime per il superamento del roccioso salto quasi verticale che immette in un più agevole canaletto che immette su una sorta di vasto ripiano pavimentato da lastroni lisciati da antichi ghiacciai.

La discesa, graduale e decisa su terreno sempre più erboso, porta a calare sulla diga del lago Pantano mantenendo negli occhi la visione del sempre più incombente Adamello coi resti della vedretta dell'Avio che ne fasciano il piede abbracciati da morene laterali che diremmo "esemplari" per la loro nitidezza e "pulizia".

La sosta alla diga è meritata e, del resto, non ci resta molto da camminare: innanzitutto si percorre lo sbarramento fino all'estremità opposta, dove una discreta risalita ci porta alla strettoia della Bocchetta del Pantano (nota soprattutto come "Passo del lunedì" in forza delle consuetudini dei lavoratori addetti alla costruzione della diga, negli anni Cinquanta) incisa nel crestone roccioso che, discendendo direttamente dalla vetta dell'Adamello, funge da spartiacque tra il bacino alto dell'Avio e quello del Venerocolo.

Disceso velocemente l'erto canalino sul versante opposto del passo, arriviamo alla base della vedretta del Venerocolo che a fatica distinguiamo più in alto, cosparsa com'è di detriti. Ci attendono ora solo gli ultimi segni bianco-rossi diretti all'estremità della sua antica morena di destra.

Subito dopo c'è la diga e con i classici "quattro passi" arriviamo al vasto piazzale del grande e comodo "Garibaldi" affacciato al lago e dominato dalla poderosa mole della parete nord dell'Adamello, nel cui nome abbiamo compiuto la nostra bella impresa.
Siamo stati in moto cinque ore, più o meno.

Guardando dal vasto piazzale sterrato verso il Baitone, vediamo il passo Premassone dal quale proveniamo e mentalmente ricostruiamo il lungo cammino fatto dalla partenza al lago della Vacca.
Conclusione? Ne è valsa la pena, eccome! Ma ora entriamo nell'accogliente "Garibaldi" e…tiriamo il fiato.



rifugio Garibaldi


rifugio Garibaldi


rifugio Garibaldi



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Last updated 21.12.2007