La capanna "Baitone" aveva molto agevolato agli alpinisti la possibilità di frequentare una zona nuova e bellissima, ma non serviva per la salita all'Adamello:
da tempo s'era avvertita la mancanza d'un punto d'appoggio che facilitasse l'approccio da nord e la traversata del massiccio anche sul versante bresciano.
Così la Sezione di Brescia del C.A.I., dimostrando notevole determinazione ed efficienza, decise di dar corso senz'altro alla realizzazione di un rifugio nella Valle del Venerocolo, nei pressi del lago omonimo, a quota 2500 m circa.
La nuova costruzione eretta negli anni 1892 e 1893 - fatto molto significativo a quei tempi, sotto molteplici aspetti - venne intitolata all'Eroe italiano più popolare di tutti i tempi: Giuseppe Garibaldi.
L'inaugurazione avvenne in forma solenne il 23 luglio 1894 con l'intervento di 54 persone, affluenza eccezionale, allora, sulle montagne.
I componenti la comitiva del C.A.I. di Brescia - 25 persone - erano partite il giorno precedente dalla città alle 8.30 con il treno; giunti ad Iseo (a quell'epoca, come ho già detto, la linea ferroviaria si fermava là) s'erano imbarcati, a bordo del battello avevano fatto colazione; sbarcati a Pisogne, erano saliti sulla diligenza di linea e dopo una sosta a Breno per un ricevimento al "Casinò Sociale", erano giunti alle 20 ad Edolo, dove s'erano fermati per la cena ed il pernottamento.
Alle 4 del mattino successivo avevano preso la diligenza per Temù e da qui, alle 6.30, s'erano avviati a piedi, giungendo al "Garibaldi" alle 13.30, dopo una sosta di un'ora e trenta minuti presso la Malga di Mezzo.
"Per un ripido sentiero - scrisse il giornale "La Provincia" - si giunge al rifugio, eretto in un punto che, salendo, non si può vedere da lungi, ma apparisce improvvisamente alla distanza di pochi metri appena guadagnato l'orlo del ciglione.
In questo momento l'animo si apre alla più lieta meraviglia:
davanti a voi sorge, fata morgana non menzognera, una bianca casetta che si può senza esagerazione chiamare una palazzina.
Bisogna dirlo, a lode della Sezione di Brescia:
questo rifugio è splendido, senza dubbio il migliore di quelli costruiti sui versanti italiani".
Certo: il "Garibaldi" non era il solito tugurio alpino.
Era un bel fabbricato a due piani, con solidi muri di granito, suddiviso razionalmente:
un locale destinato a pranzo e soggiorno, un altro a cucina, otto "cabine", una stanza per signore; i posti letto erano venti, in cuccette sovrapposte, con materassi e coperte di lana.
Insomma, dati i tempi, un vero lusso.
Quel 23 luglio fu una giornata memorabile.
Il presidente del C.A.I. di Brescia, Mori, era medico:
aiutò a squartare un vitellino lattonzolo, scherzando con spirito un po' macabro sull'imprevista funzione di "chirurgo" e sul fatto che, quella volta, la "vittima" aveva quattro gambe e non due come al solito.
Il Vice Segretario della Sezione, Biagi, bonario e grassotto, si assunse il compito di collocare man mano i grossi pezzi di carne in un enorme pentolone da "casera", preso a prestito presso la sottostante Malga Lavedole e di attizzare il gran fuoco acceso all'aperto.
Il Tesoriere Duina, aiutato dalla signora Algenide Foresti, madrina del rifugio, si diede a preparare le grandi lastre di granito che sarebbero servite come desco.
Il pranzo fu servito solo alle 17, perché si ritenne doveroso attendere il ritorno di vari alpinisti, tra i quali i più famosi, che alle prime luci dell'alba erano partiti alla conquista di alcune cime circostanti, una delle quali ancora inviolata.
Quello stesso giorno, infatti, Paolo Prudenzini, con altri alpinisti bresciani, salì e "battezzò" solennemente - con regolare "processo verbale" - la Cima ed il Passo Garibaldi, nonché il Laghetto Schulz, dal nome dello scienziato che l'aveva notato per primo: un curiosissimo laghetto di ghiaccio, di forma quasi circolare, posto sulla Vedretta del Mandrone al piede meridionale del Monte Venerocolo (3325 m).
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Entusiasmo ed allegria salirono alle stelle.
Il menù fu apprezzato al punto che i convenuti vollero applaudire rumorosamente i "cuochi", Mori e Biagi: le numerose signore presenti, evidentemente, non se l'erano sentita di cucinare per così gran numero di persone e con quella attrezzatura certo per loro inconsueta.
Come s'usa al varo delle navi, una bottiglia di "champagne italiano" fu infranta dalla madrina contro i grigi muri di granito.
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Dal giornale "La Provincia":
"Il sole era scomparso e la scena per effetto di luce del tramonto, diveniva sempre più viva, attraente, per riuscire fantastica e nel vero senso della parola, magica quando d'un tratto si accesero sopra varie rocce i fuochi di bengala.
A poco a poco tutto rientrò nel silenzio, coricandosi ognuno nel posto stabilito e per riposarsi delle fatiche della giornata e per prepararsi a quelle venture".
La costruzione del rifugio e l'istituzione - avvenuta qualche anno dopo - di un servizio d'alberghetto nei mesi estivi, richiamarono presto lassù un buon numero di alpinisti.
L'Adamello incominciò ad essere sempre più conosciuto non soltanto dai bresciani, ma anche da alpinisti di altre province e di nazionalità diverse che presero a frequentarlo in numero crescente.
Già nel 1891, tre anni prima della costruzione del "Garibaldi", dal solo rifugio Mandrone erano saliti sulla vetta 40 alpinisti.
Il rifugio "Garibaldi", assurto a notorietà mondiale durante la Grande Guerra, scomparve sommerso dalle acque del bacino artificiale del Venerocolo, realizzato tra il 1956 e il 1959; e fu sostituito da un rifugio completamente nuovo che reca ancora quel nome.
(nota mia: non è rimasto sott'acqua, ma fu demolito; è ancora visibile un tratto di pavimento a valle della spalla destra della diga; si incontra seguendo il sentiero che dalla casa di guardia sale al ciglio diga e/o all'attuale rifugio).
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