La Sezione di Brescia del C.A.I. si convinse dell'assoluta necessità di migliorare il "Ricovero Salarno".
Così incaricò l'imprenditore Celeste Rigotti di Stenico (noto per aver edificato il rifugio della Tosa, nel Gruppo di Brenta) di aggiungere, verso mezzogiorno, una stanza in muratura foderata internamente di assi e ricoperta da "scandole" (lastre di pietra) alla quale si accedeva dal "locale" esistente, che poteva dar posto ad otto persone.
Il nuovo " dormitorio" Salarno (così fu anche definito in un primo tempo) fornito di materassi e "buone coperte di lana" venne inaugurato ufficialmente il 2 luglio 1888 con una cerimonia solenne.
Con l'occasione, il rifugio era stato dotato anche di tavoli, di una cucina economica, di alcuni attrezzi e denominato "Adamello".
Però fu perseguitato dalla malasorte:
quello stesso inverno una valanga lo ricoprì completamente, danneggiandolo in modo grave:
la neve poté essere sgombrata soltanto nell'estate successiva.
"Malvagi" lo depredarono due volte: nel 1893 e nel 1900.
Nel 1901 un'altra valanga sommerse il locale più recente e rovinò irreparabilmente il tetto.
Il C.A.I. di Brescia si rese conto che non c'era nulla da fare:
l'ubicazione era decisamente infelice e se si voleva vincere la partita si sarebbe dovuto costruire un rifugio nuovo in un luogo diverso;
incaricò della scelta Paolo Prudenzini, il noto alpinista brenese (Nota 4) il quale indicò un punto poco discosto da quello del vecchio rifugio, sopra un dosso che domina la conca di magri pascoli nei quali serpeggia un piccolo corso d'acqua che defluisce dai nevai soprastanti.
Dal volume: Adamello: il tempo dei pionieri di Vittorio Martinelli - ediz.Martinelli Povinelli - 1992
....viene descritta la salita in Adamello da parte di una comitiva partita da Sarezzo il 21 agosto 1871 che
raggiunse l'Adamello il 24 agosto guidata da Lodovico di Brehm....
in quel periodo il rifugio Salarno non esisteva ancora....
"....Dopo aver superato un altro piccolo salto, che s'innalza fra il Lago di Massisio
e quello di Salarno, si giunse ad un'altezza di circa 200 metri sopra quest'ultimo
lago; esso è certo due volte piu vasto dell'altro, piu tetro e piu orrido.
Alle .... si poneva piede sulla soglia della Baita o capanna di Salarno, ultima della valle
(devo usare questa parola del dialetto, «Baita», che indica propriamente quelle misere
capannucce dei mandriani).
Selvaggio assai è questo luogo.
Ambo le chine dei monti della vallata son coperte di massi granitici e solo il fondo,
per picciol tratto piano, è formato da praticelli paludosi fra i quali serpeggia il torbido Poja.
La vegetazione non è qui rappresentata che da poca e magra erba e da miseri «rhododendron»;
in generale questa vallata è molto scarsa di vegetazione e al Lago Massisio, alto appena
1986 metri, vi sono già gli ultimi pini nani.
La capanna riposa sui macigni di sopra accennati, anzi una parte di essa è precisamente formata da un immenso sasso; le altre pareti son composte di pietre messe l'una sull'altra senza cemento di sorta e il mal connesso e fracido tetto di assi non è certo bastevole riparo contro i venti, le piogge e le nevi di lassù.
La capanna era abitata da un bel giovanotto, possessore d'alcune vacche, che al nostro arrivo pascolavano più su nella valle e da due sudici ragazzi, i quali però non si fecero vedere che a sera.
Intorno stavano oziando due grossi maiali.
La Baita mancava d'ogni cosa; non si trovò nemmeno un pugno di buon fieno ma solamente un po' di
muschio secco, compresso entro una specie di nicchia, luogo di riposo del giovanotto e senza dubbio
di mille e mille altri lesti animaletti...
Ognuno vede che non c'era da star molto contenti in quel tugurio e le nostre speranze di passar quivi la notte scemarono a segno che il Nessi (Cassiere della comitiva) aveva offerto come stanza da letto la stalla dei porci,
poco discosta da lì, sotto un masso sporgente, alto forse 80 cm; ma ciò fu assolutamente rigettato da mio Padre (comandante in capo).
Intanto le cime dei monti si coprivano di nubi; poi cominciò a piovere e di quando in quando a farsi udire l'eco del tuono, ripercosso dalle balze circostanti.
Così le nostre speranze pei giorni venturi divenivano sempre più tenui.
La fame però si faceva sentire e si pensò senza indugio al pranzo; i sei polli furono da noi stessi spennati o meglio
scorticati e poi messi tutti insieme in un paiuolo e con ciò si produsse una eccellente minestra di riso, nella quale vennero gettati non foglie, ma gambi addinttura di ortiche, grazie alla scienza botanica del Cassiere.
Un bel polentone, abilmente preparato dal mulattiere, pose fine al nostro pranzo ed irradiò di allegria i nostri volti, tanto più che di vino non c'era carestia e chi poteva essere più contento di noi, quando verso sera il cielo si rasserenò a poco a poco e si fece visibile il monte Salarno e tutta la strada per la quale, il gionio dopo,
speravamo di toccare il ciel col dito, cioè di arrampicarci sulla cima dell'Adamello?
Verso le otto ore ciascuno già sentiva gli occhi pesanti pel sonno e ben presto tutti ci coricammo sopra un po' d'erba secca distesa sopra l'umido suolo di quell'antro, serrati l'uno contro l'altro in modo da non potersi voltare.
Il vecchio cacciatore s'era già da un pezzo sdraiato nella nicchia delle pulci e russava fortemente.
Anche gli altri però non tardarono ad addormentarsi profondamente e l’alto silenzio della vallata non veniva interrotto che dal rumoreggiare del torrente.
Alle 4 del mattino (24 agosto) tutti ci trovavamo già in piedi.
Visto il bel sole che indorava le cime circostanti, si partì allegramente noi sei, lasciando indietro le guide e si
arrivò dopo un’ora di cammino e dopo varie avventure accadute nel attraversare il Poja, ai piedi della Vedretta di Salarno, donde quest’ultimo usciva diviso in moltissimi rigagnoli.
Sulla morena laterale del ghiacciaio s’incominciò la salita, la morena è di considerevole mole e da essa si vede chiaramente che il ghiacciaio doveva essere molto più esteso.
Il Boldini ci assicurò che da che egli la conosceva, la vedretta si era ritirata per ben 30 metri e questa è un’altra prova del rapido retrocedere dei ghiacciai". |