Rifugio Salarno


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Sentiero degli invasi dell'Adamello

DESCRIZIONE

Dal volume: Adamello: il tempo dei pionieri di Vittorio Martinelli - ediz.Martinelli Povinelli - 1992

Il primo punto d'appoggio per alpinisti realizzato dalla Sezione di Brescia del C.A.I. fu quello che sorse nel 1881 alla quota 2255, presso la testata della Val Salarno, la quale, per chi proviene dalla pianura, rappresenta la via più breve verso la vetta dell'Adamello.

In un primo tempo fu denominato "ricovero Salarno".
Era poco più d'una spelonca, un unico vano di 30 metri quadrati ricavato sotto un macigno gigantesco e la volta era costituita da masselli di granito che davano la sensazione, assai poco piacevole, d'essere sul punto di crollare da un momento all'altro; l'umidità vi era tanto forte che l'acqua gocciolava da ogni parte.
Arredamento: un tavolaccio, della paglia e alcune coperte, sempre bagnate.

Nell'agosto 1883 si svolse a Brescia il XVI Congresso Alpino Italiano e si ritenne di cogliere la solenne occasione per un'inaugurazione ufficiale, naturalmente con successiva salita all'Adamello, un'impresa ritenuta ancora ardita e prestigiosa.

Troviamo scritto nella seconda edizione della " Guida alpina della Provincia di Brescia " edita nel 1889 a cura della locale Sezione del Club Alpino Italiano:
"Questo gruppo colossale (l'Adamello - n.d.A.) che torreggia sulle nostre Prealpi forma colle sue estensioni di ghiaccio una regione speciale più alta delle altre cime che vi stanno attorno e non v'è alpinista di vaglia che non vanti fra le sue conquiste alcuni di quei culmini biancheggianti che sorgono qua e là dal grandioso altipiano toccando altezze considerevoli".

........ relazione del trentino Dorigoni, ch'era in attesa dell'arrivo in Val Salarno dei congressisti provenienti da Brescia:

".....passammo a visitare il Rifugio or ora ultimato.
La posizione scelta, a dire il vero, è oltremodo pittoresca e del tutto adatta per l'ascensione dell'Adamello.
Ma all'incontro, il metodo di costruzione è del tutto sbagliato;
toltone un lusso eccessivo di murature fatte di blocchi granitici, e dello spessore d'un metro, che gli danno l'aspetto d'un vero blockhaus, il resto non è punto adatto all'uso per cui venne costruito.

L'errore madornale si fu quello di addossare il Rifugio ad un enorme masso granitico che gli tien luogo di parete sul lato orientale, e dalla quale trapela continuamente l'umidità sotto forma di tanti piccoli rigagnoli.

Dopo l'errore commesso dal Club alpino Germanico-Austriaco nella costruzione del Rifugio del Mandrone, io credo che non si poteva, né si dovea commetterne un secondo colla costruzione del Rifugio di Salarno".


........ la comitiva dei gitanti provenienti da Collio giunse al "Ricovero Salarno".
Scrisse Rovati:

"Lo dico francamente: non poteva essere ideato più male di così.
Addossato ad un masso enorme di tonalite che gli serve per una delle pareti e male illuminato da due piccole feritoie, meglio che finestre, è scuro ed umido come una cantina per l'acqua che stilla giù dalle pareti del masso; inoltre ha la porta proprio addossata al focolare e manca di una stanza aperta a tutti perché serva di rifugio anche a chi non ha seco la chiave, com'era il caso nostro.

Convenne dunque per ripararci dalla neve che cadea fittissima, cacciarsi in una grotta formata da due massi della grande morena del ghiacciaio.
Vi entrammo carponi e ci sdraiammo sulle nude pietre affranti e bagnati; sotto di esse si sentiva il mormorio dei rigagnoli formati dall'acqua che cola dal ghiacciaio superiore.
Il freddo ci penetrava fin nelle ossa ed il cognato Bortolo ancora vestito d'estate col cappello di paglia in testa, il cui cocuzzolo era coperto di neve, era addirittura intirizzito.
Per dare un po di calore al corpo e di coraggio allo spirito tracannammo parecchi bicchieri di vino, il quale servì anche a risvegliarci l'appetito:
facemmo quindi colazione e dopo esserci ristorati ci abbandonammo ad una chiassosa ilarità; e fu allora stabilito, stringendosi tutti la mano, che fra noi corresse del tu e la grotta si appellasse "grotta dell'amicizia".

IMMAGINI


rifugio


rifugio


retro


interno


esterno


Val Salarno dal rifugio Salarno





Gualtiero Laeng lo descrive così:
"poco più di una spelonca, un vano ricavato a ridosso di un gigantesco macigno, e ricoperto da una tavola di masselli di granito; gocciola da ogni parte e dà l'impressione di crollare da un momento all'altro."
Nel 1897 venne aggiunto un altro locale che aveva accesso dal primo e poteva ospitare 8 persone.


rifugio SALARNO



La Sezione di Brescia del C.A.I. si convinse dell'assoluta necessità di migliorare il "Ricovero Salarno".

Così incaricò l'imprenditore Celeste Rigotti di Stenico (noto per aver edificato il rifugio della Tosa, nel Gruppo di Brenta) di aggiungere, verso mezzogiorno, una stanza in muratura foderata internamente di assi e ricoperta da "scandole" (lastre di pietra) alla quale si accedeva dal "locale" esistente, che poteva dar posto ad otto persone.

Il nuovo "dormitorio" Salarno (così fu anche definito in un primo tempo) fornito di materassi e "buone coperte di lana" venne inaugurato ufficialmente il 2 luglio 1888 con una cerimonia solenne.
Con l'occasione, il rifugio era stato dotato anche di tavoli, di una cucina economica, di alcuni attrezzi e denominato "Adamello".

Però fu perseguitato dalla malasorte:
quello stesso inverno una valanga lo ricoprì completamente, danneggiandolo in modo grave:
la neve poté essere sgombrata soltanto nell'estate successiva.

"Malvagi" lo depredarono due volte: nel 1893 e nel 1900.
Nel 1901 un'altra valanga sommerse il locale più recente e rovinò irreparabilmente il tetto.
Il C.A.I. di Brescia si rese conto che non c'era nulla da fare:
l'ubicazione era decisamente infelice e se si voleva vincere la partita si sarebbe dovuto costruire un rifugio nuovo in un luogo diverso;
incaricò della scelta Paolo Prudenzini, il noto alpinista brenese (Nota 4) il quale indicò un punto poco discosto da quello del vecchio rifugio, sopra un dosso che domina la conca di magri pascoli nei quali serpeggia un piccolo corso d'acqua che defluisce dai nevai soprastanti.


Dal volume: Adamello: il tempo dei pionieri di Vittorio Martinelli - ediz.Martinelli Povinelli - 1992

....viene descritta la salita in Adamello da parte di una comitiva partita da Sarezzo il 21 agosto 1871 che raggiunse l'Adamello il 24 agosto guidata da Lodovico di Brehm....

in quel periodo il rifugio Salarno non esisteva ancora....

"....Dopo aver superato un altro piccolo salto, che s'innalza fra il Lago di Massisio e quello di Salarno, si giunse ad un'altezza di circa 200 metri sopra quest'ultimo lago; esso è certo due volte piu vasto dell'altro, piu tetro e piu orrido.

Alle .... si poneva piede sulla soglia della Baita o capanna di Salarno, ultima della valle (devo usare questa parola del dialetto, «Baita», che indica propriamente quelle misere capannucce dei mandriani).

Selvaggio assai è questo luogo.

Ambo le chine dei monti della vallata son coperte di massi granitici e solo il fondo, per picciol tratto piano, è formato da praticelli paludosi fra i quali serpeggia il torbido Poja.

La vegetazione non è qui rappresentata che da poca e magra erba e da miseri «rhododendron»; in generale questa vallata è molto scarsa di vegetazione e al Lago Massisio, alto appena 1986 metri, vi sono già gli ultimi pini nani.

La capanna riposa sui macigni di sopra accennati, anzi una parte di essa è precisamente formata da un immenso sasso; le altre pareti son composte di pietre messe l'una sull'altra senza cemento di sorta e il mal connesso e fracido tetto di assi non è certo bastevole riparo contro i venti, le piogge e le nevi di lassù.

La capanna era abitata da un bel giovanotto, possessore d'alcune vacche, che al nostro arrivo pascolavano più su nella valle e da due sudici ragazzi, i quali però non si fecero vedere che a sera.
Intorno stavano oziando due grossi maiali.
La Baita mancava d'ogni cosa; non si trovò nemmeno un pugno di buon fieno ma solamente un po' di muschio secco, compresso entro una specie di nicchia, luogo di riposo del giovanotto e senza dubbio di mille e mille altri lesti animaletti...

Ognuno vede che non c'era da star molto contenti in quel tugurio e le nostre speranze di passar quivi la notte scemarono a segno che il Nessi (Cassiere della comitiva) aveva offerto come stanza da letto la stalla dei porci, poco discosta da lì, sotto un masso sporgente, alto forse 80 cm; ma ciò fu assolutamente rigettato da mio Padre (comandante in capo).

Intanto le cime dei monti si coprivano di nubi; poi cominciò a piovere e di quando in quando a farsi udire l'eco del tuono, ripercosso dalle balze circostanti. Così le nostre speranze pei giorni venturi divenivano sempre più tenui.
La fame però si faceva sentire e si pensò senza indugio al pranzo; i sei polli furono da noi stessi spennati o meglio scorticati e poi messi tutti insieme in un paiuolo e con ciò si produsse una eccellente minestra di riso, nella quale vennero gettati non foglie, ma gambi addinttura di ortiche, grazie alla scienza botanica del Cassiere.

Un bel polentone, abilmente preparato dal mulattiere, pose fine al nostro pranzo ed irradiò di allegria i nostri volti, tanto più che di vino non c'era carestia e chi poteva essere più contento di noi, quando verso sera il cielo si rasserenò a poco a poco e si fece visibile il monte Salarno e tutta la strada per la quale, il gionio dopo, speravamo di toccare il ciel col dito, cioè di arrampicarci sulla cima dell'Adamello?

Verso le otto ore ciascuno già sentiva gli occhi pesanti pel sonno e ben presto tutti ci coricammo sopra un po' d'erba secca distesa sopra l'umido suolo di quell'antro, serrati l'uno contro l'altro in modo da non potersi voltare.

Il vecchio cacciatore s'era già da un pezzo sdraiato nella nicchia delle pulci e russava fortemente.
Anche gli altri però non tardarono ad addormentarsi profondamente e l’alto silenzio della vallata non veniva interrotto che dal rumoreggiare del torrente.

Alle 4 del mattino (24 agosto) tutti ci trovavamo già in piedi.
Visto il bel sole che indorava le cime circostanti, si partì allegramente noi sei, lasciando indietro le guide e si arrivò dopo un’ora di cammino e dopo varie avventure accadute nel attraversare il Poja, ai piedi della Vedretta di Salarno, donde quest’ultimo usciva diviso in moltissimi rigagnoli.

Sulla morena laterale del ghiacciaio s’incominciò la salita, la morena è di considerevole mole e da essa si vede chiaramente che il ghiacciaio doveva essere molto più esteso.
Il Boldini ci assicurò che da che egli la conosceva, la vedretta si era ritirata per ben 30 metri e questa è un’altra prova del rapido retrocedere dei ghiacciai".




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Last updated 2.1.2008